Erano stati 830 in tutto il 2019, sono scesi a 742 nel 2020, oltre 300 dei quali venuti alla luce già nel nuovo ospedale. Ora i nuovi nati nelle strutture dell'Asl albese e braidese sono in ripresa, anche se le 80 culle occupate dall’inizio del 2021 nel nuovissimo reparto aperto al settimo piano dei "Michele e Pietro Ferrero" certo non autorizzano a chiamare in causa quel boom da "figli del lockdown" ripreso con richiami da prima pagina in altre piazze del Paese.
A confermarcelo è il dottor Mario Ardizzoia, 67 anni, pinerolese, dal 2001 primario della Ginecologia e Ostetricia dell’Asl Cn2 dopo aver lavorato per 16 anni al "Sant’Anna" di Torino (e altri 9 presso la sua clinica universitaria), dal luglio scorso operativo a Verduno dopo un ventennio nel quale si era diviso tra il "Santo Spirito" di Bra e il "San Lazzaro" di Alba.
"In realtà – spiega il dottor Ardizzoia –, è noto come parlando di nascite l’Italia stia registrando da tempo una cospicua flessione. Una tendenza che sul nostro territorio non si avverte in modo così marcato, almeno per il momento, ma che esiste. Lo scorso anno abbiamo certamente avuto un calo nel numero dei parti, anche se minore che in altre realtà. Da che operiamo nel nuovo ospedale registriamo invece una certa ripresa, ma più che di 'figli del lockdown' credo che si debba parlare di un effetto dell’apertura di Verduno. Da sempre parte dell’utenza di Bra sceglieva altre sedi, Savigliano in primis, per dare alla luce i propri figli, più che altro per ragioni logistiche. Alba è scomoda, arrivando da Bra, e lo posso ben testimoniare io che da vent’anni faccio il pendolare dal Torinese".
Verduno è invece più facile da raggiungere, per chi provenga da quella zone. Oltre a essere una struttura dotata di tutt’altro comfort.
"Appunto. Bra, finché ha avuto un punto nascite, era un piccolo gioiello. Alba molto meno. La parte storica era certamente suggestiva, ma certo poco confortevole. Le stanze di ginecologia erano ancora sistemate in cameroni ottocenteschi. E anche l’ostetricia, più recente, avrà avuto una o due stanze in tutto col bagno in camera. Diciamo che era tutto poco funzionale. Nel 'Ferrero', che le nostre pazienti stanno imparando a conoscere, l’ostetricia ha 4 stanze da due letti e altre 8 addirittura singole, tutte dotate di bagno interno e comfort di livello alberghiero. Stessa cosa in ginecologia, anche se al momento questa è ancora sdoppiata tra una zona 'pulita' e una 'Covid', che tra ottobre e novembre è stata anche piuttosto affollata".
Spazi più che sufficienti quindi.
"Sicuramente sì, anche perché ormai moltissimi interventi si fanno ormai in day hospital, o con degenze che durano pochi giorni. Se c’è un problema, è forse quello opposto: spazi così ampi richiedono maggiori tempi di percorrenza: serve più personale per coprirli, insomma. E qui si entra nel tema, annoso, della carenza di personale. Gli infermieri ci mancavano già quando direttore dell’Asl era il dottor Monchiero, cui suggerivo di coprire la zona neonatale con le sole ostetriche, riservando gli infermieri alla ginecologia. Peraltro parliamo di un problema che si è acuito col tempo, specialmente da quando le vecchie scuole per infermieri sono divenute corsi universitari. Nelle prime ci si iscriveva con la garanzia immediata di essere assunti nell’ospedale vicino a casa. Università invece vuol spesso dire numero chiuso, tasse e costi che non tutte le famiglie possono sostenere. Insegnavo al corso di Piana Biglini, ma c’era un grande numero di allievi che arrivavano da altre zone d’Italia, pronti a tornarvi non appena ottenuto il titolo".
Recentemente la Regione vi ha chiesto di riprendere le attività ordinarie e tra queste quelle legate alla prevenzione.
"Sì, in parte non le abbiamo mai interrotte. Per 'Prevenzione Serena’ stiamo tenendo sedute aggiuntive, che peraltro per due volte a settimana mi riportano a Bra. Ebbene, il primo livello dello screening, quello basato sul 'pap test’ effettuato dalle ostetriche, è rimasto fermo da marzo a giugno, nella fase più difficile dell’emergenza sanitaria, ma gli accertamenti del secondo livello e terzo livello non li abbiamo mai sospesi. Anzi, dopo una fase nella quale ci preoccupavamo di evitare alle pazienti di venire in ospedale quando le indicazioni non lo richiedevano, ora abbiamo il problema opposto. Dobbiamo telefonargli anche più volte e spesso insistere affinché si presentino".
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sabato 10 maggio