Il mondo sanitario si porta dietro anni davvero difficili, dove medici e infermieri sono passati dall'essere eroi ad essere additati come untori, aggrediti, insultati. Il Covid non ci ha resi migliori, anzi...
E non è un caso che siano stati tanti, rispetto agli anni precedenti, i professionisti che, dopo un carico lavorativo, umano ed emotivo senza precedenti, hanno deciso di lasciare la professione.
La conferma arriva da Remo Galaverna, infermiere coordinatore dei due Day hospital, oncologico e medico, dell'ospedale di Cuneo e presidente dell'OPI, l'Ordine delle professioni infermieristiche.
L'ordine, in Granda, conta 4764 iscritti - dato al 2022. Dall'albo, sempre in questo anno, si sono cancellati ben 109 infermieri. Ci sono anche, come ovvio, dei decessi, ma la maggior parte dei cancellati rientra nella fetta di chi ha scelto di lasciare la professione.
Togliendo dal computo totale gli infermieri pediatrici, gli autonomi e gli associati, restano "in servizio" circa 4.000 infermieri, tra ospedali, cliniche e RSA. Pochi. E ancora meno se si guarda ai prossimi anni, tra medicina territoriale e Ospedali di Comunità.
Un problema noto, che riguarda l'intero territorio nazionale e che rischia di acuirsi nei prossimi anni, anche perché in questo 2022 le iscrizioni all'Università di Infermieristica sono calate del 7%. "Questo, nonostante la grande visibilità della nostra professione, in particolare con l'esplosione del Covid", evidenzia Galaverna, che sottolinea anche come i problemi della professione siano tanti, non ultimo lo stipendio, il secondo più basso in Europa: un infermiere guadagna in media tra i 1.500 e i 1.600 euro al mese.
Tra i nodi da sciogliere, a livello nazionale e a vantaggio della professione, sicuramente quella del "vincolo di esclusività per chi lavora nelle aziende pubbliche". Un medico può svolgere attività privata, un infermiere no. Se avesse tempo e disponibilità per prestare qualche ora di servizio nelle RSA, per esempio, cosa di cui ci sarebbe un enorme bisogno, non può farlo.
Non solo: la specializzazione in qualche ambito non viene in alcun modo riconosciuta o valorizzata. "Se un infermiere, dopo la laurea triennale, decidesse di fare un Master o di specializzarsi in determinati ambiti sanitari, in caso di assunzione questo non verrebbe in alcun modo considerato nella destinazione di reparto. Anche questo è un aspetto sul quale si sta lavorando, a livello nazionale. Non è da escludere che si vada verso una laurea magistrale, un biennio di specializzazione, come accade anche per i medici", spiega ancora Galaverna.
Per concludere: "Non siamo medici né ambiamo ad esserlo, perché il nostro lavoro è di assistenza, primariamente. Ma siamo laureati, molti di noi si specializzano, hanno uno o più master, si aggiornano con costanza, ma tutto questo non ci è riconosciuto, né economicamente né come professionalità e competenza. Ancora adesso, in molti non sanno che gli infermieri sono dei laureati. E' anche su questa percezione che l'Ordine sta lavorando, a livello nazionale e locale. La popolazione sta invecchiando, gli infermieri sono e saranno figure sempre più strategiche e importanti. Serve formazione ma serve anche che questa sia riconosciuta".