l tema del risparmio energetico è quanto mai attuale, come anche quello della sostenibilità. Ma cosa fare in concreto per difendersi dal caro bollette e al contempo ridurre l’impatto dei nostri consumi sull’ambiente? Ne parliamo con Massimo Marengo, imprenditore albese con alle spalle una pluridecennale esperienza nel settore delle energie rinnovabili, fondatore del gruppo Albasolar e della start-up AspecHome, che periodicamente ci offrirà utili suggerimenti per risparmiare incrementando il comfort degli spazi in cui viviamo.
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Le comunità energetiche? Un tema del quale da qualche anno si parla sempre di più e che rappresenta un ambito di obiettivo interesse. Anche perché questo particolare modello di produzione e di consumo potrebbe vedere presto interessanti accelerazioni grazie ai fondi in arrivo su questo capitolo dal Pnrr.
Ma di che cosa parliamo esattamente quando parliamo di comunità energetiche? Nella pratica ci riferiamo a sistemi nei quali soggetti di diversa natura (privati, aziende ed enti pubblici) condividono la produzione e il consumo di energia con l’obiettivo di ridurne i costi, ma anche per contribuire a una sempre maggiore diffusione e incidenza delle energie rinnovabili, visto che quasi sempre parliamo di impianti alimentati tramite questo tipo di fonti (quasi sempre fotovoltaico, ma non è detto).
Da dove si attende tale accelerazione? Dal fatto che poco più di un mese fa l’Unione Europea ha dato il via a inserire le Cer (l’acronimo sta per "comunità di energia rinnovabile") tra le opere finanziabili coi fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Toccherà al Gse gestire una partita che dovrebbe valere diversi miliardi, andando a toccare e finanziare tipologie di realizzazioni che possono essere anche molto diverse tra loro.
Parliamo – bene ricordarlo – di sistemi complessi, ben diversi da semplici modelli di autoproduzione e autoconsumo del privato. L’idea di partenza, quella per la quale le Cer sono nate, è di dare a tutti la possibilità di diventare produttori e quindi fruitori di energia pulita – e fotovoltaica in buona parte dei casi –, anche a coloro che per ragioni tecniche (perché non hanno un tetto libero di proprietà, perché vivono in un condominio…) non avrebbero a rigore la possibilità di realizzare e installare un impianto proprio. Una delle caratteristiche ricorrenti di tale sistema riguarda infatti la variante nella quale la generazione di energia avviene in un luogo diverso da quello in cui la stessa viene consumata.
Esempio classico è allora il grande condominio, che può trovarsi nella metropoli come nel piccolo paese di provincia. Un altro potenzialmente calzante è quello costituito dagli edifici di proprietà di un unico ente pubblico, ad esempio un Comune, che sia in un paese o in una grande città. Oppure le filiali di una banca, magari distanti tra loro anche decine o centinaia di chilometri. O le sedi di un’associazione. E ancora, le filiali di una catena commerciale. Qualsiasi posto, insomma, dove non sia possibile installare pannelli fotovoltaici nello stesso luogo in cui dovrà avvenire il consumo.
L’autoconsumo collettivo può riguardare anche aziende che abbiano magari più sedi, un’eventualità ricorrente. Ad esempio un concessionario di auto che operi con cinque filiali attive in altrettanti capannoni. Posso installare un unico impianto in una delle sedi e rifornire di energia tutte le altre.
In tutti questi casi le difficoltà da affrontare sono quelle riguardanti le regole tecniche sottostanti alla distribuzione dell’energia tra i diversi soggetti e le diversi sedi fruitori.
Un po’ diversa l’organizzazione e la definizione anche formale di quelle entità, anch’esse soggetti giuridici veri e propri, costituite da una comunità di residenti, di privati cittadini che si uniscono per condividere finalità di vantaggio economico e sostenibilità ambientale.
In questo senso tocca al Ministero dell’Ambiente l’onere di emanare leggi e decreti attuativi di dettaglio che rendano questa possibilità operativa. Indicazioni per le quali c’è quindi grande attesa anche con riguardo agli incentivi (sulla quantità di energia consumata direttamente) che interesseranno le Cer nei casi in cui siano partecipate da enti pubblici come i Comuni, incentivi più marcati là dove il municipio coinvolto sia di dimensioni inferiori ai 5mila abitanti.
Definite quelle, resta ovviamente l’argomento – molto tecnico – riguardante l’azione di soggetti quali lo stesso Gse e l’Arera, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, che dovranno dare le regole matematiche sul funzionamento della comunità.
Per le aziende invece non sono previsti incentivi, ma agevolazioni sull’energia trasportata, sia tecnica che economica, riguardante quindi quella specifica voce di costo prevista in bolletta. Una misura che dovrebbe valere per tutte le partite Iva.
Nei prossimi anni in questo ambito c’è da attendersi uno scenario all’interno del quale opereranno vari soggetti, tendenzialmente riconducibili a poche principali tipologie.
La prima è quella che vede come attori soggetti pubblici, magari Comuni, che accedono a una Cer appoggiandosi a un finanziatore privato impegnato a investire in energia. I primi metteranno a disposizione le superfici necessarie alla realizzazione di uno o più impianti. Il privato, magari un grande produttore di energia, un trader, una multiservizi rientrerà dell’investimento trattenendosi gli incentivi e incassando i proventi dalla vendita della materia prima prodotta. Il Comune avrà quale vantaggio risparmi sulla bolletta, ma limitati, visto che come sempre avviene sarà chi avrà messo i soldi a fare l’80% del business. Da qui lo scenario di operatori dell’energia che proporranno a clienti privati di aderire a comunità energetiche promosse dai primi. In questo modo l’utente finale avrà risparmi verosimilmente quantificabili in una forbice compresa tra il 5 e il 10%. Meglio di niente, ovviamente, ma valori ben lontani rispetto all’80% di riduzione dei costi appannaggio dei privati determinati a investire direttamente sugli impianti di una Cer.
Un’altra tipologia di Cer che prenderà probabilmente piede è proprio quella promossa da aziende. E’ l’esempio della banca o della catena di abbigliamento con 50 filiali. In proposito i proponenti dovranno tenere conto di limiti geografici (il Paese è suddiviso in tre macro aree), ma il succo è che più l’impianto è vicino, più il proponente può avvantaggiarsi di bassi costi di trasporto.
L’azienda può realizzare un impianto delle dimensioni che ritiene, magari in una area dismessa, in una cava industriale, e con quelle serve tutte o parte delle proprie dipendenze, massimizzando il concetto di autoconsumo.
Insomma, tornando a una visione generale parliamo di un tema destinato ad avere un grande sviluppo nei prossimi anni. La riprova nelle parole del direttore del Gse, nei giorni scorsi ospite di un convegno a Cuneo. Alla domanda sul numero di Cer di cui nei prossimi anni è realistico attendersi la costituzione, il dirigente ha infatti parlato di una previsione compresa in una forbice tra le 15mila e le 100mila.
Da rimarcare, l’importanza per chi vorrà seguire questa interessante strada, di rivolgersi per la realizzazione degli impianti a soggetti forti di un'esperienza e affidabilità verificabili, che siano credibili, conosciuti, attivi sul mercato da tempo. Questo per evitare le brutte sorprese sempre possibili in un mercato che in ragione degli incentivi pubblici vive di picchi e fiammate anche notevoli.