“Gentile avvocato,
per ragioni che preferisco non spiegare, sto pensando di dare alla mia compagna l'usufrutto sull'abitazione dove viviamo, che è di mia proprietà. Volevo però fare in modo di riavere l'usufrutto, nel caso in cui ci lasciassimo: preciso che non siamo sposati.
L'ho chiesto al notaio a cui mi rivolgo di consueto, ma mi ha detto che ci sono diversi problemi.
Può darmi un suo consiglio?”
Caro lettore,
la questione che lei mi sottopone sembra facile a prima vista, ma presenta in realtà una serie di problematiche giuridiche di non agevole soluzione.
In primo luogo, il risultato che lei vuole, cioè rientrare nella disponibilità dell'usufrutto nel caso lei e la sua compagna vi lasciaste, dovrebbe essere attuato tramite una condizione risolutiva.
In diritto, si distingue fondamentalmente tra termine e condizione.
Il termine è un evento futuro e certo, ad esempio una data del calendario, da cui iniziano a decorrere o cessano gli effetti di un contratto: nel primo caso è detto termine iniziale, nel secondo caso termine finale.
La condizione è invece un evento anch'esso futuro, ma incerto, nel senso che non si sa se si verificherà o meno. Nel suo caso, tale evento incerto è il se lei e la sua compagna vi lascerete o meno in futuro.
La condizione può essere sospensiva o risolutiva: è sospensiva se gli effetti del contratto sono temporaneamente sospesi sino a che non si verifica la condizione, è risolutiva se gli effetti del contratto si producono dalla sua stipula, ma cessano al verificarsi della condizione. Nel suo caso, la cessazione dell'usufrutto se lei e la sua compagna vi lascerete è una condizione risolutiva.
A questo punto, ed è il primo problema di una certa rilevanza che va affrontato, occorre chiedersi se un diritto reale, qual è l'usufrutto, possa essere sottoposto a una condizione risolutiva.
Tra i diritti reali, il principale è il diritto di proprietà. Essa per tradizione non tollera un termine finale, perché verrebbe meno uno dei suoi caratteri considerati essenziali sin dai tempi dell'Antica Roma, cioè la perpetuità: lo stesso ragionamento sull’inammissibilità del termine finale può essere esteso alla condizione risolutiva. Tuttavia, vi sono anche tesi alternative, più moderne, che ammettono termini finali e condizioni risolutive apposte al diritto di proprietà.
Per l'usufrutto, invece, il discorso è in parte più semplice, perché è la stessa legge a indicare che l'usufrutto deve avere un termine finale: esso dura, infatti, fino alla data indicata dalle parti o, in difetto di termine espresso, fino alla morte dell'usufruttuario (l'usufruttuario è colui che gode dell'usufrutto). Cessato l'usufrutto, il diritto di godere della cosa e dei suoi frutti ritorna al proprietario originario.
Il codice civile invece nulla dice sul se sia possibile un usufrutto sottoposto a una condizione risolutiva. Lo si potrebbe ritenere possibile viste le similitudini tra temine e condizione, fermo comunque che l'usufrutto cesserebbe al massimo al momento del decesso dell'usufruttuario, anche se la condizione risolutiva non si fosse ancora verificata.
La seconda questione che si pone è se sia legittima la condizione risolutiva consistente nel non separarsi.
Infatti, l'art. 1354 cc sanziona con la nullità il contratto a cui è apposta una condizione contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume.
In questo senso la cessazione dell'usufrutto, nel caso in cui la sua compagna e lei interrompiate la vostra relazione, può essere visto come contrario a norme imperative o all'ordine pubblico. Ciò in quanto si potrebbe configurare una limitazione della sfera di libertà della sua compagna, che se in futuro (cosa che ovviamente non le auguro) volesse lasciarla, si troverebbe di fronte alla scelta, magari particolarmente gravosa, di restituire l'usufrutto oppure continuare la relazione con lei.
Riguardo alla predetta questione, si rinvengono poche sentenze, per lo più relative a persone coniugate, che hanno stipulato contratti condizionati alla futura separazione. Di recente, la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto valide tali condizioni, affermando che "non c'è nessuna norma imperativa che impedisca ai coniugi, prima o durante il matrimonio, di riconoscere l'esistenza di un debito verso l'altro e di subordinarne la restituzione all'evento, futuro ed incerto, della separazione coniugale" (Cass. 19034/2013, conforme Cass. 23713/2012).
Il predetto principio espresso dalla Cassazione n. 19034/2013, relativo alla separazione, potrebbe essere ritenuto valido a maggior ragione anche per coppie non sposate e, quindi, anche al caso che lei, gentile lettore, pone oggi alla mia attenzione. Tuttavia, va anche precisato come non si tratti di un orientamento consolidato.
Da ultimo, un'ulteriore questione che si pone è quella derivante dall'art. 1355 cc, che afferma "è nulla l'alienazione di un diritto o l'assunzione di un obbligo subordinata a una condizione sospensiva che la faccia dipendere dalla mera volontà dell'alienante o, rispettivamente, da quella del debitore".
Sul punto si possono fare diverse considerazioni. In primo luogo, la condizione consistente nell'interrompere la relazione potrebbe essere considerata rimessa alla mera volontà di una delle parti e, dunque, rientrante teoricamente nel campo di applicazione dell'art. 1355 cc.
Tuttavia, la sopra citata Cass. n. 19034/2013, che si occupa della condizione sospensiva della separazione coniugale, ha ritenuto valide simili condizioni, per cui sembra doversi escludere l'applicabilità dell'art. 1355 cc, benché si tratti di questione non espressamente affrontata da tale pronuncia. In più l'art. 1355 cc riguarda le sole condizioni sospensive, mentre quella da lei prospettata, caro lettore, è una condizione risolutiva: da ciò se ne potrebbe dedurre l'ammissibilità.
In conclusione, la questione è tutt'altro che di semplice e pacifica soluzione. Il consiglio che le do è quindi quello di esaminare attentamente, con l'ausilio di un professionista di sua fiducia, la fattibilità e opportunità del suo proposito, valutando magari anche se esso possa essere realizzato con strumenti diversi e meno problematici rispetto alla costituzione di un usufrutto condizionato.