“Buongiorno Avvocato,
mi tolga un dubbio: al termine di una lite in strada, dopo che la persona con cui avevo litigato si era allontanata, mi è sfuggito di dargli del mentecatto.
Alcuni suoi amici, ancora lì presenti, glielo hanno riferito e ora sono stato denunciato per diffamazione. Mi dice cosa ne pensa?”
Gentile lettore,
il reato di diffamazione è uno di quelli con cui più di frequente si ha a che fare nelle aule di Tribunale. Le situazioni sono le più diverse, sia per epiteti utilizzati, che per situazioni in cui essi vengono pronunciati.
In alcuni casi l'espressione utilizzata, a dispetto delle apparenze, può tuttavia non configurare una diffamazione.
Nello specifico, il reato di diffamazione è previsto dall'art. 595 cp e punisce chiunque, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione.
È necessario che la persona offesa non sia presente al momento del fatto, perché se no si rientrerebbe nella diversa fattispecie di ingiuria. L’ingiuria è stata peraltro oggetto di depenalizzazione nel 2016 e dunque non è più reato.
Perché vi sia diffamazione, oltre all'assenza della persona offesa, è necessario che l'espressione lesiva della reputazione sia percepita da almeno due persone.
Soprattutto, è necessario che l'espressione sia effettivamente lesiva dell'altrui reputazione ed è su questo aspetto che occorre soffermarsi per rispondere alla sua domanda.
Afferma la giurisprudenza, con un orientamento consolidato espresso anche in tempi recenti, che la condotta diffamatoria deve avere "attitudine offensiva, nel senso che, in relazione alle concrete circostanze del fatto, risulti suscettibile di diffusione e di pregiudizio della stima e del rispetto di cui ogni consociato è meritevole nel contesto di riferimento" (Cass. n. 25026 del 25/06/2024; conformi Cass n. 5654 del 19/10/2012, n. 34178 del 10/02/2015, n. 22598 del 25/02/2010).
Nella sentenza ora citata, a titolo esemplificativo, la Suprema Corte di Cassazione, sulla base del sopra riportato principio, ha ritenuto non diffamatorio l'espressione "pezzente". La Corte ha infatti osservato in merito "non è ravvisabile... indicatore alcuno e soprattutto appagante della idoneità del mero vocabolo, avulso da un quadro d'insieme minimamente esplicativo, ad incidere sulla reputazione del destinatario di essa, intesa quale patrimonio di stima, di fiducia, di credito accumulato dal singolo nella società e, in particolare, nell'ambiente in cui quotidianamente vive e opera" (Cass. n. 25026/2024, cit.).
In altre occasioni, tuttavia, la decisione della Corte di Cassazione è stata diversa. Sovente, è infatti il contesto a comportare che l’espressione sia o meno offensiva della reputazione.
Proprio con riguardo all’utilizzo del termine “mentecatto”, da lei utilizzato, si è ad esempio pronunciata la Cassazione con sentenza n. 18919 del 15/03/2016.
La vicenda riguardava una lettera, inviata a vari soggetti, in cui veniva dato del “mentecatto” a un amministratore di condominio. Ebbene, in quel caso la Corte di Cassazione ha ritenuto di confermare la condanna per il reato di diffamazione, reputando sussistente l’offesa all’altrui reputazione.
In conclusione, dunque, il consiglio che le posso dare, caro lettore, è quello di rivolgersi a un legale di sua fiducia, per valutare attentamente il contesto in cui è stata pronunciata l’espressione oggetto di denuncia a suo danno. Ciò alla luce della giurisprudenza sopra citata, nonché anche per verificare che non sussista la causa di non punibilità della provocazione prevista dall’art. 599 cp, perché se l’espressione da lei utilizzata costituisse una reazione a una precedente offesa, in quel caso non risponderebbe del reato anche laddove, di per sé, l’epiteto da lei pronunciato fosse ritenuto lesivo dell’altrui reputazione.