“Egregio avvocato,
un inquilino non mi ha pagato mesi di affitto, ora se ne è andato lasciandomi le chiavi dell'appartamento. Il padre dell'inquilino mi ha scritto un messaggio, dicendomi di non preoccuparmi, che gli affitti non pagati dal figlio li avrebbe versati lui.
È da alcuni giorni che sto cercando il padre perché mi paghi, ma non mi risponde più né al telefono, né ai messaggi che gli mando (vedo però che li legge).
Il figlio so che non lavora e non possiede nulla, il padre invece ha più finanze. Posso fare causa al padre per avere quello che mi spetta?”
Gentile lettore,
la questione che mi pone è in apparenza facile: c'è un debitore che non paga (nel suo caso un inquilino moroso) e un terzo (in questo caso il padre del debitore) che promette di pagare il debito.
Date queste premesse, sembrerebbe a prima vista logico che lei possa chiedere il pagamento dei canoni al padre del suo inquilino, visto che è stato proprio lui a prometterle il pagamento.
Tuttavia, la giurisprudenza mette in discussione quanto sopra.
Per comprendere la questione, occorre in primo luogo inquadrare giuridicamente la promessa di pagamento.
In particolare, afferma l'art. 1988 cc: "la promessa di pagamento... dispensa colui a favore del quale è fatta dall'onere di provare il rapporto fondamentale. L'esistenza di questo si presume fino a prova contraria".
Quindi, in sé, la promessa di pagamento non è un contratto, perché non richiede l’accordo di più parti. Essa non è però neppure una dichiarazione unilaterale che obbliga il dichiarante da sé sola: è invece necessaria, ai sensi dell’art. 1988 cc, la preesistenza di un contratto sottostante o, comunque, di una qualche ragione giuridica, distinta dalla promessa, che obbliga al pagamento chi promette.
La promessa di pagamento, infatti, viene definita negozio processuale, nel senso che ha un'efficacia solo probatoria all'interno del processo, ma non costituisce di per sé stessa la fonte di un obbligo di pagare.
La Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi in merito alla promessa di pagare proveniente da un soggetto terzo, non obbligato al pagamento in forza di altro titolo.
La Suprema Corte, alla luce dell’art. 1988 cc, ha affermato che detta promessa “ha un effetto meramente confermativo, nella sfera probatoria, di un preesistente rapporto fondamentale di debito e, pertanto, è inidonea a costituire nuove obbligazioni ed a porre in essere una successione a titolo particolare nel suddetto rapporto, di natura sia cumulativa (con l'aggiunzione di un nuovo debitore a quello originario), sia privativa (con l'eliminazione, cioè, del precedente debitore)" (Cass. 31296/2023, conforme Cass. 13710/1999).
Nel sopra citato provvedimento, la Corte si è pronunciata sul caso di un terzo che aveva promesso, con una e-mail, di pagare il debito di un altro soggetto. La Corte ha ritenuto che la sola promessa di pagamento, anche se scritta su una e-mail, non fosse da sé sola idonea a obbligare il predetto terzo e ha così annullato la precedente sentenza che lo aveva condannato.
La promessa di pagamento da parte di un estraneo va infatti concettualmente distinta dall'accordo tra un creditore e un soggetto terzo, che si obbliga a pagare un debito non proprio. Quest'ultima situazione, che si realizza normalmente con un contratto, è detta in termini giudici espromissione ed è regolata dall'art. 1272 cc. Per realizzare la predetta espromissione non è tuttavia sufficiente una mera promessa di pagamento ai sensi dell’art. 1988 cc, perché quest’ultima in sé non è un contratto o comunque una fonte di obbligazioni autonoma, come si è avuto modo di sopra esporre.
Conclude quindi la sopra citata pronuncia della Suprema Corte affermando che "la promessa di pagamento, per il carattere meramente confermativo di un rapporto obbligatorio preesistente, è idonea a determinare l' inversione dell'onere della prova tra le parti del rapporto obbligatorio, ma non è fonte autonoma di obbligazione e non può produrre la modificazione soggettiva dell'obbligazione, con la conseguenza che la promessa unilaterale di pagamento di un debito altrui è da considerarsi assolutamente nulla, in quanto non rientra nello schema di cui all'art. 1988 c.c., che ha per oggetto il debito dello stesso promittente e non quello di altri soggetti" (Cass. 31296/2023).
Dunque, il consiglio che posso darle, caro lettore, è quello di rivolgersi a un legale di sua fiducia, per valutare insieme se sia conveniente iniziare un’azione legale di recupero del credito, valutando anche se, oltre alla promessa di pagamento che lei mi ha citato e che in sé non è sufficiente, vi siano anche ulteriori elementi che possano fondare un obbligo di pagare in capo al padre del suo ex inquilino moroso.