In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (Gv 6,24-35).
Oggi, 4 agosto, la Chiesa giunge alla XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B, colore liturgico verde).
A commentare il Vangelo della Santa Messa è don Silvio Longobardi, sacerdote della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, nonché l'ispiratore del movimento ecclesiale Fraternità di Emmaus.
Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio. Pensieri e parole per accendere le ragioni della speranza che è in noi.
Eccolo, il commento.
Dio si rivela gradualmente: prima moltiplica i pani, poi invita a cercare il cibo che rimane per sempre e, infine, dichiara: «Io sono il pane della vita» (6,35). Questa solenne affermazione è come una porta che si apre e lascia intravedere qualcosa di quel mistero luminoso che Dio vuole svelare.
Il Vangelo ci prende per mano e ci fa entrare poco alla volta nella luce. Credere significa camminare. Ma non tutti sono disposti a farlo. La maggior parte dei battezzati si ferma sulla soglia, si accontenta delle briciole, non vuole andare oltre. Tanti di noi sono come questa folla anonima del Vangelo che, pur avendo assistito personalmente al miracolo dei pani, domanda a Gesù: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai?» (6,30). Invece di credere alla Parola, con umiltà e stupore, passano la vita a chiedere altri segni, altre conferme. Manca la rettitudine, cioè il desiderio di seguire la luce quando appare. È il peccato più grave! È stato detto giustamente che c’è abbastanza luce per chi vuole credere; e non sarà mai abbastanza per chi non vuole credere.
Se non vogliamo restare sulla soglia della fede, se desideriamo entrare e scoprire la bellezza di quello che Teresa d’Avila chiama il Castello interiore, allora dobbiamo accogliere la rivelazione eucaristica come il passe-partout, la chiave che ci introduce nella stanza del banchetto dove Dio ci attende per comunicarci la vita, quella vera. È l’Eucaristia il sacramento della vita, come diceva Sant’Agostino: «Mangia la vita, bevi la vita e avrai la vita» (Discorsi, 131,1). Gesù è venuto per dare la vita, cioè per dare all’uomo la possibilità di vivere in pienezza ogni istante di questa fragile storia. Senza cercare evasioni e senza inseguire illusioni.
«Tra il tempio della nostra fede e della nostra lode e il brusio e il rumore della piazza non ci sia uno schermo o una barriera invalicabili», scriveva Pavel Evdokimov, un teologo ortodosso. Oggi chiediamo la grazia di restare attaccati a Gesù Eucaristia per non sciupare nulla e rivestire tutto con quella luce che viene dall’alto.