L’Espresso, nel 2020, gli ha dedicato una copertina e lo ha definito “l’ultimo intellettuale”. Il direttore della stessa testata, Marco Damilano, in una puntata del programma televisivo “Propaganda Live”, ha spiegato che il titolo della copertina lo ha deciso lui, perché (testualmente) “Michele è una delle poche voci che ci raccontano qualcosa sul nostro paese”. Michele Rech, in arte Zerocalcare, dal canto suo, nella stessa puntata, ha mostrato un certo imbarazzo sia per le parole del direttore che per la definizione.
Zerocalcare sulla copertina dell’Espresso
I giovani direbbero che “non se la tira”. Eppure potrebbe. Da anni, tra fumetti e trasposizioni degli stessi in serie animate Netflix (“Strappare lungo i bordi” e “Questo mondo non mi renderà cattivo”) e film (“La profezia dell’armadillo”), sta accumulando un successo dietro l’altro, senza mai, è importante sottolinearlo, rinunciare ad esprimere il proprio pensiero.
Le locandine delle due serie Netflix di Zerocalcare
Forte, ad esempio, è stata la sua presa di posizione all’ultimo Salone del Libro di Torino, quando ha portato la propria solidarietà ai manifestanti pro-Palestina. E altrettanto altisonante, qualche mese prima, sulla stessa linea, è stata la sua decisione di non partecipare al Lucca Comics.
Zerocalcare non ha mai alcun timore di schierarsi, una capacità, questa, ormai sempre più rara tra gli artisti non solo del fumetto, ma anche della letteratura, del cinema, della musica.
E’ solito affrontare con lucida, dissacrante e amara ironia tematiche legate all’attualità, nostrane ed estere, con quella magia tipica di chi sa divertire e far pensare. Lo ha fatto, ad esempio, in “Kobane Calling” (2015-2016), reportage a fumetti del suo viaggio tra i combattenti curdi, e nel suo ideale sequel “No Sleep Till Shengal”(2022); altrettanto caustico è stato in “Questa non è una partita a bocce” (2018), analisi disegnata, spiritosa e tagliente, della vulnerabilità dei media, solo per citare alcune delle sue opere precedenti.
In ogni suo lavoro, Zerocalcare scopre una nostra ferita, intima, familiare, sociale, politica, la porta alla luce, la mostra a noi e a se stesso, in una presa di coscienza mascherata da quella comicità che nasce dal gusto del paradosso, dal linguaggio di borgata. Problemi spesso talmente enormi da far tremare i polsi, ma conoscerli, leggerli dentro un fumetto, è già di per sé una mezza vittoria. Soltanto così possiamo anche riderne.
Ecco, per esempio, come i legami familiari, spesso complessi, difficili da gestire, diventano struggente poesia in “Quando muori resta a me”, l’ultimo suo lavoro edito, come sempre, dalla Bao.
Dopo aver affrontato il legame madre/figlio in “Dimentica il mio nome” (2014), Zero indaga in quest’ultimo libro il rapporto con il padre.
Una vignetta tratta da “Quando muori resta a me”
Sullo sfondo i suoi ricordi di bambino, la separazione dei genitori, poi una vecchia storia di paese e un’altra, più recente, di piombo, nazionale, queste ultime entrambe tragiche. Nella narrazione si mescolano e confondono i buoni e i cattivi, i mediocri e gli eroi. Storie piccole che percorrono una Storia più grande, con la esse maiuscola, come in Elsa Morante.
Un’altra vignetta tratta da “Quando muori resta a me”
L’autore ha recentemente dichiarato, tra il serio e lo scherzoso, di aver fatto leggere il libro a suo padre prima della pubblicazione e di aver scoperto che lui si aspettava qualcosa di celebrativo, tipo “temino delle medie”. Invece, come gli altri lettori, ha dovuto fare i conti con un’immagine realistica, cruda, certo non negativa, comunque divertente, come è nello stile del figlio, ma estremamente vera. E poetica.
Quello che rimane, dopo la lettura, è la cenere insulsa del fuoco del rancore, un “ancestrale groviglio di nodi mai sciolti”, che però non ha senso, quindi non può più fare male.
Quello che rimane è il trionfo di un amore paterno silenzioso, non per questo meno forte - invincibile come He-Man, l’eroe di Zero bambino - solitario, a volte un po’ triste, ma sempre pronto a sorridere di nuovo e perfino a cantare una vecchia canzone.
Quello che rimane è un po’ di commozione e il dispiacere di rendersi conto che siamo arrivati all’ultima pagina e la storia, anzi, tutte le storie, sono – ahimé – terminate.
Beh, possiamo sempre rileggerle un’altra volta.
A proposito, noi ci rileggiamo la prossima settimana.