Attualità - 14 ottobre 2024, 13:29

Ad Alba la lezione civile di Gino Cecchettin: "Ai maschi dico, siamo noi la causa del problema, noi dobbiamo cambiare" [VIDEO]

Oltre 500 persone in Sala Ordet per la presentazione del libro lettera aperta alla figlia Giulia: "Vedeva la bellezza in tutto"

In Sala Ordet l'incontro promosso dall'associazione La Quercia Scout

Il pubblico in piedi e un lungo riconoscente applauso di una sala gremita ha posto fine all’ora e mezza di incontro che ieri sera, domenica, ha visto Gino Cecchettin portare anche ad Alba la testimonianza di padre impegnato nella lotta contro la violenza di genere e il femminicidio, piaga senza fine che meno di un anno fa, l’11 novembre 2023, gli ha portato via la secondogenita Giulia, studentessa 22enne uccisa dal fidanzato Filippo Turetta. 

Oltre 500 le persone accorse nella sala Ordet di piazza Cristo Re per fare tesoro della commovente lezione di civiltà che ha accompagnato la presentazione del libro "Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia" (Rizzoli 2024, 160 p.), organizzata dall’associazione La Quercia Scout di concerto col Consorzio Socio Assistenziale di Alba Langhe Roero, l’associazione Mai+Sole, Agesci, l’Associazione Il Campo e la cooperativa libraria La Torre

"Un libro nato per parlare a mia figlia con una lettera aperta", ha esordito Gino Cecchettin dal palco, intervistato da Nicola Conti, presentandosi come "un papà che ha voluto fare un ultimo regalo a una figlia fantastica". 

"Vedeva la bellezza in tutto", il suo nitido ricordo di questa ragazza speciale, ritratto improntato al sorriso come ricorso nei racconti di un padre che in quella troppo breve esperienza di vita ha raccolto la preziosa eredità ideale ora consegnata all’attività della fondazione che ne porta il nome (https://fondazionegiulia.org/), alla quale sono peraltro destinati i proventi del volume scritto con Marco Franzoso: "Tu avresti voluto una società di persone che reagiscono positivamente alle difficoltà, che non si lasciano sopraffare dalla negatività e della violenza. Questo significa restare umani". 

Sullo sfondo, emerse durante la conversazione allargata poi alle operatrici del Centro Antiviolenza Alba Bra Sonia Delfinetti, Sheila Marchisio ed Elisa Revelli, all’associazione Mai+Sole ("Sono in crescita le richieste di aiuto delle giovanissime", ha spiegato la fondatrice Adonella Fiorito) e il nodo locale di "Non Una di Meno", con Annalisa Insinna, i temi della discriminazione basata sul genere, del patriarcato, del bisogno di un’uguaglianza nei diritti tra i sessi ancora di là da venire. "Mia figlia Elena ha scritto quel famoso post («Ditelo a quell’amico che controlla la propria ragazza, ditelo a quel collega che fa 'catcalling' alle passanti, rendetevi ostili a comportamenti del genere accettati dalla società, che non sono altro che il preludio del femminicidio», ndr), le ho chiesto e lei mi ha spiegato. Ho cercato sul dizionario cosa si intendesse con quel termine, patriarcato, ne ricordavo altri significati ma ce n'è un terzo che descrive una condizione di sopruso, in famiglia, nella società. Eppure siamo imbevuti di concetti come 'da uomo a uomo' o 'piangere come una femminuccia' coi quali spesso siamo cresciuti e cresciamo, ma dai quali occorre liberarsi. Il maschio che guida, che conduce, che decide: sono retaggi culturali". "Ai maschi dico, siamo noi la causa del problema. Togliamoci di dosso questo maschilismo che ci hanno appiccicato addosso".

"Quando ti viene proibito qualcosa, quella è sempre violenza, è la base di una relazione tossica", ha poi proseguito chiamato a toccare il delicato tasto della sua vicenda personale, della violenza che ha portato alla morte della figlia, sino ai sensi di colpa per non averla saputa prevenire: "Occorre alzare la soglia di attenzione, saper coglierei i segnali che ci sono. Personalmente ho vissuto mesi di grande dolore, mi sono sentito tanto in colpa. È difficile accettare il fatto che avrei potuto alzare quella soglia di attenzione. Eppure io parlavo con Giulia. Anche gli inquirenti, dopo mesi, mi hanno detto che era impossibile discriminare. Io mi limitavo a chiedere e a invitarla a chiudere quella storia. (…)". Anche da lì l’invito a riconsiderare il tempo e la qualità di esso che dedichiamo ai nostri figli, ai nostri cari: "Ora ho imparato. Con Davide (il terzo figlio, ndr) anche nel poco tempo prima di andare a scuola stiamo lì parlare, a confrontarci, anche solo dieci minuti, ma parliamo". 

IL VIDEO

Il supporto delle persone? "Per me è stato fondamentale. Avere il sostegno di tanti fa capire che è importante andare avanti. Una ragazza mi ha detto 'grazie, perché con quello che fai mi hai salvato la vita'. Viveva una relazione tossica, le era proibito fare tutto. Ha deciso di lasciare quel ragazzo. Era il primo viaggio che poteva fare dopo tanto tempo". 

Come fare a non farsi prendere dalla rabbia e dall'odio, a non cedere a un sentimento di vendetta che sarebbe umano comprendere? "Mi basta guardare una foto di Giulia. Se penso a lei non sono sopraffatto da nessun sentimento negativo, fino al punto da cancellare Filippo (Turetta, ndr). È un fatto successo nel passato. Rabbia e ira sono sentimenti che ti procuri rimanendo nel passato. Il che non significa che non pensi ogni giorno a Giulia. Spesso ho bisogno di sentirla con me. Vado nella sua stanza, annuso un suo vestito. Ma intanto devo andare andare avanti con Davide, con Elena, e anche per me stesso. Ho perso una figlia, non voglio perderne altri due". 

Sulle molte critiche che ha ricevuto nella giungla dei social: "Inizialmente ci sono rimasto male, poi ho capito che per colpa di queste persone non stavo pensando più a mia figlia. Ho capito che erano granelli di sabbia contro una montagna. Se dai importanza a chi ti critica, dai loro valore. Nessun può ferirti se non col tuo consenso, diceva Gandhi".