Il tema del risparmio energetico è quanto mai attuale, come anche quello della sostenibilità. Ma cosa fare in concreto per difendersi dal caro bollette e al contempo ridurre l’impatto dei nostri consumi sull’ambiente? Ne parliamo con Massimo Marengo, imprenditore albese con alle spalle una pluridecennale esperienza nel settore delle energie rinnovabili, fondatore del gruppo Albasolar e della start-up AspecHome, che periodicamente ci offrirà utili suggerimenti per risparmiare incrementando il comfort degli spazi in cui viviamo.
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Le Comunità Energetiche Rinnovabili (Cer) sembrano diventate finalmente una concreta opportunità per privati e aziende. Dopo tanto parlarne, solo da qualche tempo si iniziano a poter vedere i concreti riflessi che queste realtà possono avere per quanto riguarda la possibilità di mettere in rete la propria produzione di energia, se si è produttori, o di poterne usufruire a condizioni di vantaggio se si è consumatori. Questo grazie ai riconoscimenti e ai benestare che su tali iniziative iniziano ad arrivare da parte del Gestore Servizi Energetici (Gse), ente deputato a riconoscerne l’esistenza e il funzionamento.
Molte di queste realtà in effetti sono già attive, e alcune anche da diverso tempo. Ma un conto è andare da un notaio e costituire queste associazioni di persone, altro è renderle davvero operative. E ora finalmente alcune di essere iniziano a essere attive.
Qual è il vantaggio, in questo momento, nel fare parte di una Cer, a parte ovviamente il non trascurabile il discorso etico e ambientale?
Per capirlo occorre fare un passo indietro e guardare alle politiche energetiche che il nostro Paese ha potuto pianificare grazie ai fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).
Degli oltre 200 miliardi di euro che l’Ue ha messo a disposizione dell’Italia con questa misura di incentivo allo sviluppo una quota non irrilevante è stata destinata a politiche volte a incrementare l’efficienza e indipendenza energetica del Paese, oltre che ad agevolare una transizione alle fonti rinnovabili sempre più necessaria per contrastare il cambiamento climatico. Tra le varie misure che ne sono discese – insieme a direttive come quelle da cui originano i progetti Transizione 5.0 o dei cosiddetti "agrivoltaico" e "agrisolare", diversi miliardi sono andati a incentivare le Cer, portando con loro opportunità che riguardano anche il mondo delle imprese.
La prima e più rilevante è quella di un contributo a fondo perduto per le Piccole e Medie Imprese nella misura del 40% della spesa che è possibile ottenere se vogliamo realizzare un impianto fotovoltaico di dimensioni inferiori a 1 MWp di potenza e che sia all’interno di un comune al di sotto dei 5mila residenti.
Una possibilità che riguarda i privati, ma anche le aziende, che a differenza dei primi non godono al momento di analoghe misure.
In questo caso l’incentivo arriva dal Gse e viene dato direttamente alla comunità energetica, che la gira poi al produttore. Questa da statuto si trattiene generalmente una "fee", un contributo utile alla gestione della stessa e previsto nello statuto della comunità. Ma si tratta sempre di cifre molto contenute, dallo 0,4% al 2%, anche in base a quello che queste realtà offrono ai loro associati. L’associato che riceve il contributo del Gse ha quale obbligo quello di rimanere nella Cer per un periodo minimo di cinque anni.
Ma all’interno delle comunità quali sono i nostri obblighi? Occorre iniziare a dire che queste organizzazioni sono costituite da figure che possono essere di tre tipi: soggetti attivi, che producono energia e mettono a disposizione l’eccedenza dell’autoconsumo; soggetti passivi, che si limitano a consumare l’energia prodotta da altri, avendo come vantaggio la possibilità di acquistarla a prezzi più bassi di quelli generalmente praticati sul mercato; soggetti attivi e insieme passivi, che producono e consumano. Il principio che regola e giustifica la Cer è quello per cui l’energia che non utilizziamo la mettiamo a disposizione della comunità, che la distribuisce tra gli associati secondo precise regole. L’energia immessa in rete viene ovviamente pagata al produttore. Una parte o la totalità viene usufruita dalla Cer, che la spalma tra gli associati, mediante regole che consentono a tutti di usufruirne.
La Cer dove guadagna? Riceve un premio dal Gse sull’energia autoconsumata dalla comunità. Più questa consuma, più alto è il premio a lei riconosciuta. Tale funzione è regolata da complessi meccanismi governati da algoritmi. Il Gse le riconosce bonus che vengono poi distribuiti tra gli associati oppure incentivi sull’energia prodotta: il primo è sicuro e viene monetizzato istantaneamente; il premio sull’autoconsumo è variabile.
Anche le aziende che hanno impianti già fatti possono partecipare al meccanismo dell’autoconsumo. Il requisito è quello dell’avere energia da immettere in rete. Condizione che è molto facile a verificarsi visto che in genere le attività produttive autoconsumano una quota dell’energia da loro prodotta compresa tra il 50% e il 70%, visto anche che sono poche quelle che lavorano a ciclo continuo e 7 giorni su 7.
La Cer ha anche il vantaggio che a livello autorizzativo gode di maggiori agevolazioni, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di realizzare impianti come quelli a terra. Un appezzamento di cui disponessimo di fianco all’azienda, qualificato come agricolo, potrebbe essere utilizzato per il solo agrivoltaico, con tutti i limiti e le specifiche di questa modalità di impianto, oltre al fatto che per realizzarlo devo avere un accordo con un’azienda agricola. Con la Cer invece è possibile farlo. E anche questo aspetto può essere molto interessante, in alcuni casi.
Nell’approcciarsi a questa possibilità da parte delle aziende è ovviamente importante il lavoro di consulenza che possono fornire soggetti che da anni operano nel settore. Nel nostro caso di operatore specializzato nel "chiavi in mano", abbiamo stretto accordi con più comunità. All’azienda e al privato consigliamo di aderire a quella che questi reputa migliore o più vicino alla sua sensibilità, secondo valori che riguardano l’affidabilità, la rimuneratività, la maggiore o minore sensibilità ambientale. Per l’utente finale spesso fare una simile valutazione è difficile, se non impossibile, in mancanza di una conoscenza diretta di realtà che vanno muovendo i primi passi in un quadro normativo particolarmente.
L’opportunità del 40% – è bene ricordarlo – vale solamente per impianti messi in funzione entro la fine del 2025, dato che sono utilizzati fondi del Pnrr. A seguire varranno le regole con il premio sull’autoconsumo.
In conclusione si evince che il maggior vantaggio per privati e aziende è sempre quello di avere un impianto proprietario direttamente connesso in autoconsumo, ma, nel caso questo non sia possibile la comunità energetica rimane un’opzione da valutare.