In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada (Mc 10,46-52).
Oggi, 27 ottobre, la Chiesa giunge alla XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B, colore liturgico verde).
A commentare il Vangelo della Santa Messa è don Riccardo Frigerio, direttore dei Salesiani di Bra.
Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio. Pensieri e parole per accendere le ragioni della speranza che è in noi.
Eccolo, il commento.
L’episodio narrato nel Vangelo di oggi è individuato nel tempo e nello spazio. Gesù sta per compiere l’ultima salita a Gerusalemme, quella che darà senso a tutta la vita pubblica e comincia dalla città famosa ancora oggi per essere nella depressione più profonda della terra, con un’altitudine negativa.
Gerico ci richiama certamente anche la parabola del Buon Samaritano, la sentiamo quindi come una cittadina “delle nostre parti”, anche se non l’abbiamo mai visitata. Nell’Antico Testamento la sua conquista avviene per diretto intervento divino, il popolo di Israele segue alla lettera le indicazioni di Jahvé fino a quando crollano le mura.
Anche il protagonista della vicenda è ben identificato. Ne viene data la genealogia, che diventa parte del suo nome. Ogni volta che viene fornito il nome specifico dall’evangelista sappiamo che innanzitutto vuole sottolineare la relazione personale creata da Gesù e la possibilità per i contemporanei di accedere alla fonte del racconto.
Bartimeo è cieco; riusciamo a dedurre dal finale “di nuovo” che non lo è sempre stato e questo fa riflettere sulle nostre perdite quotidiane, su quanto diamo per scontato nella nostra vita fino a quando non capita di smarrire qualcosa, che sia un oggetto o una relazione, che crea una voragine nell’esistenza più o meno significativa.
La vista è sicuramente uno dei sensi più importanti, perché proietta dentro di noi il mondo intero, perché ci posiziona rispetto al resto dell’esistente, perché alimenta la nostra interiorità con la gioia di un bel tramonto, di un volto sorridente, di un gesto di carità.
Istintivamente siamo portati a considerare davvero molto sfortunati coloro che nascono senza la possibilità di vedere, e forse ancora di più coloro che per incidente o malattia la perdono. Immaginiamo che cosa voglia dire non poter “accendere la luce” quando si entra in un ambiente e come si proceda a tentoni, almeno fino a quando gli altri sensi si affinano per compensare la perdita.
Bartimeo, dunque, è un mendicante che suscita compassione lungo la strada, ma probabilmente è uno tra tanti e quindi persino la compassione non è sufficiente per farlo vivere sereno. Manca la luce e il suo cuore è inquieto, perciò il suo grido si alza imperiosamente quando sente, intuisce che Gesù sta passando. Il grido del povero si alza a Dio in una preghiera nuda di formule elaborate, è la semplice invocazione ridotta all’osso, perché quando manca tutto non si dà importanza alla forma, ma alla sostanza.
Il grido del povero si alza anche oggi da ogni angolo della terra, dove c’è la tenebra della guerra, della schiavitù, delle malattie epidemiche, della sopraffazione dei pochi sui tanti. È un grido a volte disperato, a volte più simile a un’invocazione, a volte a un’imprecazione.
Bartimeo, in carne e ossa, con la sua storia personale, riassumendo in sé la storia di tanti poveri in Israele, sente che Gesù passa e gioca le sue carte. Il grido del povero, purtroppo, dà fastidio: quante volte sentiamo nei dibattiti di poveri allontanati dal centro città in corrispondenza di eventi internazionali, o aggrediti da bande di giovani “annoiati”, o evitati passando dall’altra parte della strada dalla gente intenta a fare shopping. Eppure il grido del povero buca le nubi e giunge all’orecchio del Padre, che predilige questi figli e manda nella sua Provvidenza aiuti insperati.
Bartimeo grida, dà fastidio e viene zittito, ci provano almeno, non è il caso di dare scandalo, attirare l’attenzione quando passa un ospite importante! Ma un cuore che cerca Dio, magari non rendendosene conto, non può essere zittito. Bartimeo grida più forte ancora. Chissà per quanto tempo ha ascoltato il flusso della folla passargli davanti, la moneta cadere ai suoi piedi, il commento aspro di chi forse diceva che se lo meritava… Ora passa Gesù, di cui ha sentito parlare e che riconosce misteriosamente come Figlio di Davide, capace di proclamare il lieto messaggio che Dio cammina su questa terra e che vuole rinnovare la sua Creazione.
Resta per noi sorprendente la sicurezza con cui Bartimeo si appella al Signore. Possiamo intuire che sia stato “evangelizzato” da qualcuno che aveva sentito e visto Gesù agire in modo sorprendente, e sotto traccia riconosciamo l’opera della Chiesa che annuncia la salvezza portata da Gesù, ma non si sostituisce all’incontro personale con il Salvatore, punto di arrivo e contemporaneamente di partenza di ogni cammino di fede personale.
Quando raccontiamo la nostra esperienza di fede siamo anche noi evangelizzatori, pur non avendo nella stragrande maggioranza dei casi il sacramento dell’ordine. Bartimeo scatta come una molla compressa troppo a lungo, si libera di tutto ciò che allo stesso tempo è sicurezza (il mantello), ma anche catena alla sua condizione, con un entusiasmo che dovrebbe causare un esame di coscienza in molti cristiani spenti, abitudinari, senza passione, non contagiosi.
All’annuncio che passa Gesù (una processione eucaristica per le vie del paese, una celebrazione eucaristica in un santuario…) la maggioranza considera distrattamente la cosa e magari concede un’attenzione parziale, se non è di troppo incomodo. Bartimeo salta in piedi, grazie a quelli che lo incoraggiano. La Chiesa ha questo compito di donare una parola di coraggio a quanti pensano di “averla fatta troppo grossa”, perché Dio si ricordi di loro, e di condurli a un faccia a faccia con Gesù che, solo, può ricostruirne l’identità.
«Che cosa vuoi che io faccia per te?»: non è una domanda oziosa, ci verrebbe da dire che è evidente ciò per cui Bartimeo si è alzato, ma più profondamente possiamo intuire che il Signore non agisce da “padrone” delle nostre vite neppure per farci il bene, anzi desidera che possiamo concentrare le nostre richieste in modo che poi possiamo ricevere con cuore davvero aperto il suo intervento. Dobbiamo dire a noi stessi che cosa vogliamo davvero, e se ciò coincide con il bene che il Signore vuole già donarci, non dubitiamo che il bene arriverà!
Un ultimo pensiero: «La tua fede ti ha salvato». La salvezza viene dalla fede, da Abramo in poi, non è una “conquista” dell’uomo, ma anche si esprime nelle opere conseguenti all’essere e sentirsi salvati. Forse non è così arduo ricomporre le fratture storiche su questo punto. Bartimeo segue lungo la strada il Signore, anche noi possiamo metterci in coda e andare dove va lui.
Silvia Gullino