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Attualità | 13 novembre 2024, 07:08

L'infermiere-speleologo e la spedizione da Verduno all''Himalaya: "Ho rischiato di perdere le dita di un piede"

Il professionista che lavora al Dea del Pronto Soccorso dell'ospedale "Michele e Pietro Ferrero" è stato uno dei membri del team che doveva raccogliere dati per uno studio dell'impatto delle alte quote sul corpo umano. "Difficile tornare alla vita frenetica"

"L’esperienza è la somma degli errori" – così Romeo Uries descrive la recente spedizione ad alta quota che lo ha visto protagonista tra le vette dell’Himalaya. Un’avventura estrema per l’infermiere del Pronto Soccorso di Verduno, abituato alla frenesia del Dea, che ha dovuto misurarsi con i limiti fisici e psicologici, trovando l’essenza della resistenza.

"Ho rischiato di perdere le dita del piede destro per congelamento" confida Uries, raccontando le condizioni estreme vissute con il team guidato dal dottor Giorgio Martini dell’Università di Padova. La spedizione mirava a raccogliere dati chiave per lo studio dell’impatto delle alte quote sul corpo umano. "Abbiamo monitorato parametri fisiologici cruciali – spiega - e, nonostante le difficoltà, abbiamo portato a termine tutti gli obiettivi".

Il viaggio verso il Kedar Dome, a 6800 metri di altezza, ha rappresentato un’impresa complessa anche per chi, come lui, ha un profondo legame con la montagna. "Se uno ama le montagne, è impossibile non rimanere ammaliato per tutta la vita. Non è stata solo un’esperienza scientifica, ma un percorso di sfida e di crescita personale, dove ogni dettaglio – anche un semplice calzino – ha avuto il potere di trasformarsi in un ostacolo”. Dal punto di vista alpinistico, la spedizione ha dovuto fermarsi poco sotto la vetta per ragioni di sicurezza, a circa 6600 metri. "Non abbiamo raggiunto la cima, ma arrivare a quella quota è già un risultato notevole per uno speleologo", riflette Uries.

"Non è stato facile – ammette – ma ci siamo impegnati al massimo". Uries e gli altri membri della spedizione hanno raccolto campioni biologici, affrontando condizioni climatiche dure e una logistica complessa. "I dati potrebbero riservare delle belle sorprese" osserva, consapevole che ogni passo in quella spedizione ha ampliato i confini della ricerca scientifica e della sua esperienza personale.

Al ritorno, tuttavia, la sfida non si è conclusa: reintegrarsi nella quotidianità si è rivelato più complicato di quanto immaginasse. "Dopo un mese di fatiche silenziose e di vita essenziale, è difficile tornare alla frenesia di ogni giorno. Si è costretti a confrontarsi con un ritmo diverso, in cui le cose importanti si mescolano a quelle superflue, rendendo complesso distinguere le une dalle altre", conclude l'infermiere-speleologo.

Daniele Vaira

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