Sono andato a ripescare il Farinél di un anno fa per leggere quali fossero gli umori 12 mesi or sono alla fine della Fiera internazionale del tartufo bianco d’Alba, in chiusura oggi, domenica 8 dicembre, a quasi due mesi dall’inaugurazione.
Se il titolo vi ricorda vagamente quello di un anno fa, non vi state sbagliando, è esattamente lo stesso, ma ho deciso di riprenderlo per lanciare lo stesso messaggio, purtroppo ancora estremamente attuale: regaliamoci un tartufo a Natale quando molti pensano che la stagione della trifola sia finita, mentre il periodo della cerca continuerà fino al 31 gennaio 2025 e cerchiamo tutti di fare qualcosa per questo prodotto così fragile.
Pensare che la stagione era iniziata sotto i migliori auspici nell’anno più piovoso dal dopoguerra e se la pioggia ha pregiudicato il raccolto di nocciole e reso complicata e lunga la vendemmia, era lecito attendersi una grande stagione del tartufo, prodotto che ha bisogno di due ingredienti fondamentali: pioggia e freddo.
Così non è stato perché nonostante la tanta acqua caduta, il freddo si è fatto attendere e ci ritroviamo, oggi, a uno dei dicembre più scarsi di sempre dal punto di vista della raccolta con prezzi schizzati a 600 euro l’ettogrammo, mai così alti in chiusura di Fiera.
Cosa significhi tutto questo, è presto per dirlo, se sia solo l’ennesimo anno sfortunato per la troppa pioggia dopo anni di siccità o se, peggio, faccia parte di una tendenza che ci porterà alla scomparsa del fungo ipogeo più amato del mondo.
Se ne è discusso ieri nel convegno Tuber next gen organizzato dal Centro Studi Nazionale Tartufo e dall’Ente Fiera.
Possiamo permettercelo? Assolutamente no, lo dicono i numeri della Fiera del tartufo e dell’indotto di questo prodotto che nella sua commercializzazione vale appena qualche milione di euro, ma in grado di generare un giro d’affari strepitoso.
42.282.603 euro. Tanto vale il giro di affari diretto e dell’indotto della Fiera Internazionale del tartufo bianco d’Alba, inaugurata venerdì 11 ottobre dal vicepremier Antonio Tajani, cifra che fa della kermesse langhetta la manifestazione enogastronomica B2C con il miglior impatto in Italia.
Un giro d’affari 141 volte superiore alla spesa pubblica per la Fiera, pari a 299.500 euro a cui aggiungere una valutazione (prudenziale) dell’impatto della comunicazione generata dall’evento elaborata attraverso l’Advertising Value Equivalent, stimato confrontando i valori medi dei listini pubblicitari italiani ed internazionali e applicando i necessari parametri integrativi che ha permesso di attribuire alla copertura media della Fiera di 3.654.000€, una cifra superiore di 26 volte rispetto al budget di promozione e comunicazione investito da Ente Fiera, pari a 138.608€, e di 78 volte rispetto alla spesa per l’acquisto di spazi pubblicitari sostenuti dalla stessa (46.905€).
Nel complesso l’Osservatorio della Regione Piemonte ha quantificato in 250 milioni di euro il giro d’affari del tartufo per la nostra Regione.
Un patrimonio economico, ma soprattutto culturale che non può essere disperso.
Parlando ieri con i giornalisti e gli influencer presenti a Mondovì per l’anteprima di Ginitaly mi sono accorto, per l’ennesima, raccontando di Giacomo Morra e della Fiera del Tartufo e del mito che aleggia intorno a questo prodotto, ancora una volta quanto sia stato fatto per rendere unico un prodotto che un tempo veniva venduto al prezzo delle patate.
Oggi il tartufo è il simbolo di una Regione intera e in questo caso, mi sento di dire che, crisi climatica o meno tutti possiamo fare qualcosa. Se di fronte ai cambiamenti climatici in corso ci sentiamo impotenti a guardare, di fronte alla carenza di tartufi tutti possiamo dare un contributo piantando alberi, nel nostro piccolo.
“No alberi, no tartufi” era la frase del commendator Ponzio, frase oggi più che mai attuale per fare in modo che del mito del tartufo non resti solo il mito.