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Attualità | 07 gennaio 2025, 06:51

Bra, festa dell’Epifania contemplando la reliquia di San Giuseppe Cottolengo

Un evento di straordinaria devozione che ha unito la comunità in un abbraccio di fede

La “peregrinatio” della reliquia del Cottolengo, a Bra

La “peregrinatio” della reliquia del Cottolengo, a Bra

Un evento di straordinaria devozione, che ha unito la comunità braidese in un abbraccio di fede sotto il segno di San Giuseppe Benedetto Cottolengo. È la venerazione della reliquia ex ossibus, che nella sua “peregrinatio” ha sostato anche nella città natale del Santo definito da papa Pio XI «Un genio del bene».

Dopo il Santuario della Madonna dei Fiori, un nuovo momento di condivisione della preghiera ha toccato la Piccola Casa della Divina Provvidenza di Bra nella solennità dell’Epifania, celebrando con gioia la santità.

La Messa del 6 gennaio è stata presieduta dal cappellano don Michele Bruno, alla presenza delle suore cottolenghine, del personale e degli ospiti con parenti e famigliari, oltre al sindaco Gianni Fogliato. Tutti per onorare un esempio luminoso di umiltà e semplicità nella fede, rivissuti nell’omelia del celebrante.

Parole da meditare con la consapevolezza che per proiettarsi verso il futuro resta fondamentale il monito del Santo: «La preghiera è il primo e più importante lavoro della Piccola Casa. La preghiera vi fa cari a Dio; pregate dunque, pregate sempre».

L’evento rientra nel cammino verso il bicentenario dell’ispirazione carismatica del copatrono di Bra, che cadrà il 2 settembre 2027. In questa data la Piccola Casa celebrerà due secoli della propria storia e nei tre anni di preparazione all’evento la Famiglia cottolenghina invita i fedeli a riscoprire le virtù teologali della Speranza, della Fede e della Carità.

In sintonia con il Giubileo, questo primo anno infatti ha come tema “Pellegrini di Speranza”, che rappresenta l’orizzonte ultimo verso il quale la Chiesa e la Piccola Casa intendono indicare il cammino agli uomini di ogni tempo e di ogni luogo.

Il 2 settembre 1827 ha segnato il momento in cui il canonico Giuseppe Cottolengo, profondamente colpito dalla morte di Maria Gonnet, una donna incinta e malata che era stata rifiutata da tutti gli ospedali, ricevette, per singolare dono di Dio, l’ispirazione a dar vita ad un’opera di carità verso le persone più bisognose ed abbandonate.

Inginocchiato in preghiera davanti all’icona della Vergine Maria delle Grazie, nella chiesa del Corpus Domini a Torino, il canonico capì qual era la svolta della sua vita e con semplici parole: «La grazia è fatta!», diede vita all’Opera che dopo due secoli continua a donare amore, cura, dedizione a chi più ne ha bisogno.

La tappa della reliquia a Bra ha rappresentato non solo un momento di raccoglimento e preghiera, ma anche un’occasione per rinnovare la fede comunitaria e riscoprire il messaggio dell’amore vissuto con autenticità.

Lo conosceva bene il Cottolengo, diventato una carezza vivente del Padre per tutte le persone fragili nel corpo e nell’anima. La sua Piccola Casa, come una goccia, è diventata un grande fiume di carità, che ha irrigato tanti cuori deserti e ha creato oasi di vita in tutto il mondo.

La sua infaticabile opera è portata avanti dalle Suore che fanno parte di una città alla quale continuano a donare un prezioso servizio con amore e dedizione. Non si stancano di accogliere le persone e di ascoltarle, di spendere tempo e forze per diffondere il calore del Signore. Possono farlo, perché sono vicine alla fiamma, la Casa voluta dal Santo e diventata un canale inesauribile di misericordia.

Chiedetelo agli ospiti della residenza di via Fratelli Carando. Sono anziani, ma ancora pieni di vita, grazie alle cure amorevoli che ricevono quotidianamente. Visitarli è un’esperienza che scalda il cuore e strappa un sorriso a tutti. Entrerete in una famiglia stupenda, con una madre, delle sorelle, dei fratelli. E Gesù.

«Deo gratias» per questo importante evento di grazia per la Piccola Casa e tutta la Chiesa.

Un po’ di biografia

San Giuseppe Benedetto Cottolengo, fondatore dell’opera da lui denominata Piccola Casa della Divina Provvidenza che, dopo la sua morte, è popolarmente detta Cottolengo, nasce il 3 maggio 1786 a Bra, in una famiglia medio borghese con salde radici cristiane, primogenito di 12 figli.

Fin da piccolo, grazie anche agli esempi della madre, sempre generosa verso i poveri e gli ammalati, pensava di dedicarsi alla cura degli infermi. Deciso a farsi sacerdote, cominciò gli studi con scarso rendimento, poi in seguito ad una novena a San Tommaso d’Aquino del quale sarebbe stato particolarmente devoto per tutta la vita, superò le difficoltà, ottenendo esiti brillanti.

Nel 1802 vestì l’abito talare, ma dovette continuare i corsi di filosofia e teologia, restando in famiglia, perché i seminari erano chiusi a causa degli eventi politici del tempo; poté rientrarvi soltanto nel 1805 ad Asti, alla cui Diocesi era stata assegnata Bra nel riordinamento deciso dal governo francese.

Ricevuta l’ordinazione l’8 giugno 1811, Giuseppe svolse inizialmente il suo ministero a Bra e quindi, come vice parroco, a Corneliano d’Alba; poi, consigliato da alcuni sacerdoti amici, si recò a Torino dove conseguì la laurea in teologia e nel 1818 fu nominato canonico della chiesa del Corpus Domini, eretta a ricordo del miracolo eucaristico del 1453. Qui si dedicò con zelo alla predicazione e alle confessioni, nonché all’aiuto dei poveri per i quali, oltre a ricorrere alla carità di persone generose, si privava di quanto possedeva, stimolato in questo dalla meditazione sulla vita di San Vincenzo de’ Paoli.

Il Cottolengo e l’accoglienza dei primi infermi

Essere vicino ai malati bisognosi: questa la missione di San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Una missione che il sacerdote braidese visse partendo dall’idea della casa, che vuol dire prima di tutto famiglia, accoglienza. Ci si sente a casa quando si è avvolti dall’amore dei genitori o dei parenti. Perché quando si parla di “casa” non si indica solamente un luogo, bensì un’idea d’amore. E proprio in una semplice casa inizierà una delle avventure più affascinanti della Chiesa: la Piccola Casa della Divina Provvidenza di San Giuseppe Benedetto Cottolengo.

Siamo in Piemonte, agli inizi del XIX secolo. Terra d’industria e di fermenti economici, quella sabauda, ma allo stesso tempo colma di contraddizioni sotto diversi aspetti: l’Ottocento, infatti, con i suoi progressi industriali e con la sua nuova concezione del lavoro sta provocando non pochi disagi sociali. Sono questi i giorni di innumerevoli agitazioni tra le classi sociali e la crisi non può che ripercuotersi sul piano economico. In quest’epoca di grande povertà nelle campagne, Torino diviene meta prediletta per molte persone in cerca di vita migliore. È questa l’epoca di don Bosco, di Leonardo Murialdo e Giuseppe Cafasso, sacerdoti che intendono contribuire, con la loro opera, a un risanamento della società, dando concretezza alle mirabili pagine della dottrina sociale della Chiesa.

In questo contesto storico si muove San Giuseppe Benedetto Cottolengo che passerà alla storia come il fondatore della Piccola Casa della Divina Provvidenza. Era il 17 gennaio 1828 quando a Torino, in un appartamento sito in via Palazzo di Città, nel caseggiato comunemente denominato Volta rossa, il Cottolengo dava inizio ad un’attività sociale destinata a soccorrere persone ammalate che si trovavano in gravi difficoltà economiche. Ma prima di arrivare alla costituzione di questa realtà, il sacerdote dovrà passare per una dura prova.

Il Cottolengo e la grazia ricevuta

Correva il 2 settembre 1827 quando (aveva 41 anni all’epoca) avviene un episodio che gli sconvolge l’esistenza. Quel giorno di settembre, era stato chiamato al capezzale di una donna francese, tale Giovanna Maria Gonnet, che si era recata con la propria famiglia nel capoluogo piemontese. La donna stava portando avanti la gravidanza del suo quarto figlio. Malata e febbricitante, perché affetta da tubercolosi, si era recata all’Ospedale Maggiore per chiedere di essere ricoverata. Qui la rifiutano e la mandano all’Ospizio della Maternità. Anche in questo caso, altro rifiuto. Purtroppo, per la donna ormai tutto è perduto. Il marito allora cerca disperatamente un sacerdote, affinché possa impartirle l’estrema unzione. Al suo letto di morte, accorre proprio il Cottolengo che assiste alla morte della donna e della nascitura.

Il futuro Santo, davanti ad una simile scena, rimane senza respiro; corre verso la vicina chiesa del Corpus Domini (della quale, dal 1818, era canonico) e davanti a un quadro della Madonna delle Grazie esclama: «Mio Dio, perché? Perché mi hai voluto testimone? Cosa vuoi da me? Bisogna fare qualcosa». Ad un certo punto il suo volto s’illumina: «La grazia è fatta! La grazia è fatta: sia benedetta la Santa Madonna». Il sacerdote braidese aveva compreso, per ispirazione, la missione che lo attendeva: essere vicino ai malati bisognosi; fondare la Piccola Casa della Divina Provvidenza che al suo sorgere avrà come nome quello di Deposito de’ poveri infermi del Corpus Domini.

Le case della Provvidenza

Dopo quell’esperienza, affitta due piccole stanze di un appartamento sito nel palazzo di fronte alla chiesa; due piccole camerette, ma già colme d’amore. Fra queste mura saranno, infatti, accolti subito tutti quei malati che venivano rifiutati dagli ospedali: orfani, sordomuti, invalidi, persone con gravi problemi fisici e psichici. Le camere, poi, grazie anche alla beneficenza di una giovane vedova, tale Maria Nasi Pullini, diventeranno in breve tempo nove. Ad affiancare per i primi tempi il Cottolengo ci sarà un gruppo di giovani ragazze disposte a servire i bisognosi: molte di queste diventeranno poi suore vincenziane.

Ma l’opera del Cottolengo dovrà superare una prova non facile: era scoppiata in Piemonte un’epidemia di colera e gli abitanti torinesi vicini al Deposito de’ poveri infermi del Corpus Domini temevano per la propria salute: bisognava andare via dal centro del capoluogo piemontese. Quella che poteva sembrare una sventura si rivelerà invece una vera e propria grazia: l’ospedale fu trasferito in periferia, nella zona di Valdocco. Sabato 27 aprile 1832, il sacerdote trasportava, su un piccolo carro trainato da un asino, un giovane colpito da cancrena: sarà lui il primo ospite di quella che diventerà la Piccola Casa della Divina Provvidenza; anche questa volta si tratta di una casa, proprietà dei fratelli Farinelli.

Il Cottolengo e la Divina Provvidenza

Pian piano l’opera del Cottolengo prende sempre più corpo fino ad arrivare al 7 agosto 1837 quando miracolosamente acquisterà la casa, una cappella e l’ospedale adiacente fatto costruire dagli stessi Farinelli. L’iniziale struttura dove prima si appoggiava il Cottolengo non bastava a contenere tutti i malati e, dunque, quella che era la Piccola Casa diventerà una grande casa. Ma come è stato possibile tutto ciò? Il Cottolengo non disponeva di denaro adeguato per dare vita a un’impresa che ancora oggi continua il suo servizio agli ammalati. La risposta è una sola e la offre il sacerdote stesso: «La Provvidenza Divina pensa, dirige, provvede a tutto; io sono un semplice operaio». E proprio per la Provvidenza passerà l’immensa e importante opera del Cottolengo: «Nella sola Divina Provvidenza confidar deve l’uomo, sicuro che questa nel governo universale del mondo non manca, né mancherà mai; in questa si deve sperare, su di questa come su di sodo e immobile fondamento si deve poggiare, a questa pienamente affidarsi, e su di essa gettare ogni pensiero, desiderio e speranza», così spiegherà in uno dei suoi discorsi.

Le cronache parlano di veri e propri miracoli verificatisi più volte in circostanze particolarmente critiche, davanti alle quali il Santo, favorito da carismi soprannaturali, reagiva incoraggiando così i suoi collaboratori: «Non disperate perché la Provvidenza arriva, arriva, statene certi». E a un medico che per primo lo aveva aiutato, disse: «Si ricordi che i poveri sono e saranno quelli che le apriranno le porte del Paradiso: quindi carità, sempre carità e sempre carità».

Non è un caso, allora, che proprio alla porta era affissa una targa con su scritto il motto «Charitas Christi urget nos». Sarà proprio la forza in Cristo - ricorda molto il motto paolino «Tutto posso in Colui che mi dà forza» (Fil 4,13) - che riuscirà a dare forza alla Piccola Casa: un luogo d’amore in cui ogni malato non rappresentava solamente una persona, bensì il Cristo sofferente sulla Croce. Il Santo braidese riuscirà ad organizzare la vita degli ospiti malati e dei loro assistenti in un modo del tutto originale, innovativo. Alla base di tutto vi era, infatti, il concetto di famiglia, affinché tutti potessero sentirsi “utili” agli altri: malati e sani in un fraterno e reciproco aiuto. Perché “casa” vuol dire prima di tutto famiglia, accoglienza.

Il riconoscimento ufficiale del re Carlo Alberto

Re Carlo Alberto nel 1833 concesse il riconoscimento legale alla “Piccola Casa” e nello stesso anno nominò il canonico Cottolengo cavaliere dei santi Maurizio e Lazzaro. Più tardi al Santo fu conferita la medaglia d’oro della società Motnyon e Franklin, che allora aveva un valore simile ai premi Nobel odierni. Anche Camillo Cavour ne aveva grande stima: «È un uomo semplice - diceva di lui -, ha fondato un’opera mirabile sostenuta da un sol uomo che altro non possiede al mondo che gli inesauribili tesori di un’immensa carità. Egli confida nella Provvidenza e questa non gli manca mai… un uomo prodigioso».

Poiché il Santo mirava anche alla cura spirituale dei malati, nacquero i Preti della SS.ma Trinità, i Fratelli di San Vincenzo per l’assistenza agli uomini, il piccolo seminario dei Tommasini (aspiranti al sacerdozio) e diverse comunità femminili (le suore della Divina Pastora, le Carmelitane Scalze, le Suore del Suffragio, le Penitenti di S. Taide e le Suore della Pietà), unificate oggi in una grande famiglia di religiose, divisa in vari rami con determinate finalità. Nella vita della “Piccola Casa” un posto centrale avevano i sacramenti e la preghiera: «Non lasciate mai - ripeteva a tutti sovente - a qualunque costo la comunione quotidiana! Ciò che tiene in piedi la Piccola Casa sono le preghiere e la comunione».

La canonizzazione

Nel febbraio 1842, prevedendo la sua prossima fine, il Santo regolò gli affari più urgenti, visitò le case che aveva fondato chiedendo a tutti: «Pregate per me, che sono alla fine dei miei giorni». Il 21 aprile affidò al canonico Luigi Anglesio la direzione delle sue opere e si ritirò in casa del fratello canonico della collegiata di Chieri, dove morì il 30 aprile. Carlo Alberto, nell’apprendere la notizia, esclamò: «Ho perduto un grande amico». Beatificato da papa Benedetto XV nel 1917, Giuseppe Benedetto Cottolengo fu canonizzato il 19 marzo 1934 da Pio XI, che lo definì «Un genio del bene». 

Silvia Gullino

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