“Voglio mantenere la denuncia. Ho perso il lavoro per questo fatto”. Erano state queste le parole della donna che, in un pomeriggio dell’agosto 2021, ricevette una telefonata da un sedicente avvocato di una società elettrica che le intimò di pagare una bolletta di 168 euro, rimasta insoluta: “Mi aveva detto che avrei dovuta pagarla subito – ha spiegato la vittima - perché il giorno dopo avrebbero iniziato la causa penale e mi sarebbe costata 500 euro”.
All’epoca dei fatti la donna lavorava nel reparto macchine di un’azienda agricola di Verzuolo, in cui era severamente vietato l’utilizzo del cellulare per motivi di sicurezza, quando quel pomeriggio aveva iniziato a ricevere numerosi messaggi e telefonate: “Alle prime tre chiamate avevo riattaccato – aveva precisato - ma poi arrivò un messaggio in cui c’era scritto che se non avessi risposto subito e non avessi pagato la sera stessa quella bolletta, il giorno dopo avrebbero iniziato la causa penale”.
A quel punto la donna rispose: “Mi spaventai, perché in effetti avevo una bolletta non pagata - aveva ammesso-. Parlai con questo avvocato, che mi disse di pagare subito. Io gli risposi che le banche, a quell’ora, erano chiuse e che avrei saldato il giorno dopo. A quel punto, lui mi rispose che mi avrebbe mandato su WhatsApp il numero della Postepay su cui effettuare la ricarica”.
Uscita dal lavoro la donna si recò in tabaccheria per effettuare la ricarica di 168 euro perché, come affermato in aula, aveva capito l’inganno: “Quando lui mi ha detto di effettuare la ricarica sulla carta prepagata ho compreso si trattasse di una truffa- aveva detto -. Dopo aver versato 168 euro mi sono fatta dare la ricevuta e gli ho mandato un messaggio. Lui mi ha risposto di aver ricevuto i soldi e il giorno dopo sono andata a denunciarlo: volevo avere la prova della sua responsabilità, cosicché non avrebbe più potuto truffare nessuno”.
Dietro quelle telefonate, come illustrato da un carabiniere che effettuò le indagini, c'era S.E, a cui, oltre al numero di cellulare da cui partirono le chiamate, risultò essere intestata anche la carta prepagata su cui vennero accreditati i soldi. L’ uomo, di Reggio Calabria, è stato condannato per tentata truffa di fronte al tribunale di Cuneo a 7 mesi di reclusione.
Ma una volta scoperta la “trappola” telefoniche, la donna venne risarcita dalla compagnia di fornitura elettrica che si assunse la responsabilità: “Le chiamate venivano da un loro numero fisso di Torino – aveva detto- ed erano preoccupati che una persona interna potesse essere il responsabile”.
Quanto al lavoro però, la denunciante non venne reintegrata: “Avevo rifiutato le telefonate perché in reparto non potevo rispondere – aveva concluso -. Ma quando ricevetti quel messaggio mi sono spaventata e ho risposto. In quel momento arrivò il mio capo”.