In quest’epoca di saghe familiari che invadono le librerie, spicca “Al di qua del fiume”, romanzo d’esordio di Alessandra Selmi (Editrice Nord), dove si narra la storia di una famiglia che ha fatto un pezzo di storia imprenditoriale tra ‘800 e ‘900. E ha lasciato alle sue spalle una testimonianza, il villaggio operaio di Crespi d’Adda.
Non erano nobili i Crespi, ma erano ricchi, il capostipite, Benigno, faceva il tintore a Busto Arsizio, vicino a Varese. Con acume, duro lavoro e molta fortuna aveva aperto tintorie in tutto il Nord della Lombardia. Il figlio Cristoforo, uomo colto e raffinato, era stato in Asia, in Egitto per importare il miglior cotone, aveva una visione: meccanizzare le tintorie, aggiungere i filatoi e produrre sul posto l’energia necessaria per i telai. Era il progetto della fabbrica autosufficiente. E lo realizzò, motivando gli operai che lo avevano già aiutato a installare tintorie e filande.
Oltre alla fabbrica, il progetto, aveva anche un altro scopo, impensabile allora: costruire un villaggio per i lavoratori e dare a quelle persone, povere o poverissime che vivevano in condizioni precarie, un lavoro e un posto dove nascere, vivere, morire, dove far studiare i figli, case con acqua corrente, un ospedale dove curarsi e un teatro dove passare il tempo libero. Dopo turni di 12 ore, certo.
La rivoluzione industriale era alle porte e Cristoforo Crespi voleva essere uno degli attori principali al Nord. Così nacque il Villaggio operaio Crespi sulla sponda bergamasca dell’Adda.
Il libro racconta le storie private delle tante persone che, a costo anche della vita, resero possibile il sogno di un capitalista illuminato: gli operai felici, senza problemi di cibo o di alloggio, avrebbero reso di più.
Le storie dei tanti protagonisti sono frutto di fantasia, ma negli archivi diligentemente consultati dall’autrice, ci sono molti appigli alla realtà. E il giovane Crespi che s’innamora della figlia del fedele operaio del padre forse non è un’invenzione. Un po’ di rosa colora il molto nero della fatica, delle invidie, delle malattie e delle disgrazie che hanno accompagnato la nascita del villaggio.
Le prime lotte operaie, la concorrenza straniera, la guerra imminente, chiusero i cancelli della fabbrica negli anni ‘30. Le case sono rimaste agli eredi, soprattutto le deliziose villette dei dirigenti. Il villaggio è sotto la tutela dell’Unesco e si può visitare. Quindi, terminata la lettura, una gita a Crespi d’Adda è d’obbligo per cercare nel reticolo di vie i volti dei personaggi della storia, ormai vivi oltre le pagine.