Curiosità - 23 febbraio 2025, 11:10

Tra ‘fumo e specchi’ con Nicola Brizio e il suo nuovo romanzo, “Il cantiere”

Uscito venerdì 21 febbraio in tutte le librerie per Golem Edizioni, l’ultimo lavoro dello scrittore roerino è una “spirale imperfetta” con una costellazione di personaggi diversi, che parla dell’oggi descrivendo un dopodomani ipotetico

Nicola Brizio - foto (Instagram): Alberto Biglino

Lo si è detto e lo si dice spesso, tra il serio e il faceto, che la realtà dell’oggi ha ormai superato anche le più ardite e (apparentemente) paradossali previsioni della letteratura fantascientifica. E come dar torto a questo vecchio adagio, con quel che passa sulle televisioni – per chi ancora le guarda – e sugli schermi di computer, tablet e cellulari di ciascuno di noi, a un rateo di fuoco che farebbe invidia alla più moderna delle armi d’assalto?

Anche Nicola Brizio – scrittore albese d’origine ma residente a Bra, classe 1993 -, che di letteratura si nutre e la maneggia su base quotidiana ormai da diverso tempo, sembra essere d’accordo: "Non riesco proprio a star dentro al dualismo distopia-realtà, e forse è per questo che proprio la distopia mi affascina così tanto. Se è un gioco, quello dello scrittore che cerca di ‘indovinare’ quel che potrebbe succedere, è di ‘fumo e specchi’: in realtà nella fantascienza e in una distopia non si parla mai di quel che sarà ma di quel che è, di quello che vediamo e sentiamo e tocchiamo ogni giorno”.

Nicola è autore di diversi racconti sulla rivista online La Nuova Carne e di cortometraggi per il collettivo Utopia Underground Film, oltre a realizzare ormai da anni il programma radiofonico Radical Nik su Radio BraOnTheRocks. Ha scritto tre romanzi di narrativa (Fame plastica, L’ossessione della forma, Michele antagonista) e una raccolta di racconti (Interurbane notturne), e proprio in questi giorni torna in libreria con Il cantiere (Golem Edizioni), un romanzo atipico in cui racconta delle debolezze, delle nevrosi, delle ombre e delle ossessioni “dell’uomo di oggi” e della società moderna, in un caleidoscopio di personaggi che s’intrecciano continuamente.

Proprio in occasione dell’uscita del libro ci incontriamo – a Fossano, più o meno a metà strada per entrambi – per parlarne. Nell’ultimo, in ordine cronologico, di una serie di incontri che occorrono indicativamente un paio di volte l’anno (e che hanno anche fatto parte, nel novembre scorso, di uno degli appuntamenti del “Granda in Rivolta”, proprio a Fossano, al Vitriol).

Cronenberg: che cos’è la vita vera?
Davanti a una birra Nicola prosegue nel parlarmi dell’aspetto più fantascientifico del suo nuovo lavoro. Rifacendosi ad alcuni dei suoi ‘numi tutelari’. “Insomma, quando scrivo parto da quello che mi circonda e poi immagino le vie che potrebbe prendere - dice -. Una delle cose che più mi spaventa, e che ho cercato di riportare nel testo, e quanto si faccia fatica a immaginare che quel che diciamo e facciamo, a qualunque livello ma specialmente sui social network, abbia delle conseguenze. Ignorare questo aspetto significa incappare nello stesso errore fatto nel determinare che ‘la Storia è finita’: le bolle informative esistono ma non ne siamo esclusi, ci siamo tutti dentro”.

Questa è una critica tramite la quale, non posso negarlo pur con tutte le differenze del caso, riprendo dal discorso che David Cronenberg fa con ‘Videodrome’, un film che ha più di quarant’anni ma che continua a essere attualissimo – prosegue Nicola -: la domanda giusta, nel mondo di oggi, non è cosa sia reale e cosa sia virtuale, ma se e quanto questi due ‘mondi’ non siano specchio l’uno dell’altro”.

Il mosaico di personaggi e i simboli dell’oggi
Non solo cinema, però. Don De Lillo figura tra le ispirazioni più ampio per Il cantiere, così come – forse sorprendentemente, ma leggendo il romanzo nemmeno troppo – il quadro Torre di Babele di Pieter Bruegel: “Il contesto in cui si sviluppa ed è ambientato il romanzo assomiglia davvero a una ‘torre di Babele’ – prosegue Nicola -, che per la prima volta nella mia carriera ho scritto al passato e costellandolo di una gran quantità di personaggi. Non hanno tutti la stessa importanza e molti sono stati aggiunti o ridotti nello spazio narrativo in corso d’editing; in generale ho cercato di intrecciarli lo stretto necessario, in una lezione vera e propria sull’importanza del worldbuilding, che ho sempre visto come un ‘allungare il brodo’ ma che invece in un testo come questo si è rivelato essere davvero funzionale”.

E facendo conoscenza con questi (tanti) personaggi, è quasi inevitabile ricollegarli ad alcune figure di spicco della società odierna: è quanto più facile farlo per “la bionda millenial”, ovviamente, e il misterioso “venditore di terrore” potrebbe avere più di un volto pubblico concreto. Ma in realtà il parallelismo non è cercato, secondo Nicola: “Non lo si può fare, in una realtà precaria e mutevole come quella odierna. I simboli hanno poco significato perché hanno poco tempo per spiegarsi e rimanerci in testa, faticano a diventare iconici: questo non è per forza un male ma non ci permette di riflettere e considerare il reale”.

Un romanzo che è “una spirale imperfetta”
La narrazione de Il cantiere – proprio come la biblica torre mesopotamica – mantiene un centro narrativo, un evento che in realtà non ha una funzione specifica nella storia e che coinvolge uno dei personaggi secondari, ma dal quale come un’esplosione si dipanano le storie di tutti: “Non è una spirale perfetta, sia chiaro, perché il romanzo non è un giallo con il colpo di scena – si appresta a chiarire Nicola -, ma anche qui è stata una prima volta, per me, lavorare su una struttura di questo tipo”.

A suggerirlo allo scrittore roerino la figura che dell’editing si è occupato, ovvero lo scrittore Alessandro Forlani. Un nome che, se come me adorate l’horror e il fantasy, spero sinceramente vi dica qualcosa, altrimenti interrompete subito la lettura di quest’intervista e andate a leggere il suo racconto lovecraftiano M’Rara. Come già per le sue Interurbane notturne, Forlani è stato fondamentale per la realizzazione de Il cantiere: “Il mosaico di personaggi e la struttura a spirale sono state idee sue, che ho poi deciso di seguire forse senza rendermi davvero conto, sul momento, della quantità di lavoro che avrebbero comportato. Ma insieme abbiamo anche cambiato il titolo, che doveva essere ‘La questione umana’: abbiamo pensato, semplicemente, che avrebbe creato troppe aspettative”.

Un po’ come la distopia – e seguendo una prassi vetusta quanto il vecchio adagio dell’inizio – anche l’intervista si esaurisce nel momento in cui tocca guardare avanti (e in quello in cui, delle birre, nei bicchieri non è rimasto poi molto). Un futuro che per Nicola significa un momentaneo stop nella scrittura, quanto meno letteraria: “Questo romanzo mi ha svuotato a livello di cose da dire – ammette pacificamente -. Mi sto spostando su altre cose, esplorando altri campi come quello della sceneggiatura di cortometraggi per il collettivo Utopia Underground Film. Se tornerò a scrivere, sicuramente, parlerò e sviscererò ancora quell’entità gargantuesca che è la provincia: amo parlarne e leggerne ma per questo romanzo non era così funzionale. La nostra è una terra in cui l’accelerazione verso la distopia risulta un po’ più melassosa, viscosa, lenta”. Forse, aggiungo io, per fortuna.