Con la domanda crescente di bevande a base di prodotti vitivinicoli, dotate di un tasso alcolico inferiore a quello dei vini, il mercato mostra dei nuovi orientamenti a cui è necessario guardare, ma è indispensabile fare chiarezza per non danneggiare la storicità dei nostri vitigni e il lavoro svolto sul territorio con le denominazioni d’origine, un lavoro che nella Granda coinvolge ben 6.500 imprese e una produzione di quasi 100 milioni di bottiglie all’anno, perlopiù a marchio DOC o DOCG, punta di diamante dell’export piemontese. È quanto afferma Coldiretti Cuneo rispetto ai prodotti dealcolati.
“Nella nuova normativa nazionale vengono chiamati ‘vini dealcolati’ ma è scorretto definirli vini: parliamo piuttosto di ‘bevande a base di prodotti vitivinicoli’, perché subiscono dei processi chimico-fisici che non hanno nulla a che vedere con il vino e sono finalizzati a ridurne il tenore alcolico. Si tratta di prodotti non agricoli ma formulati, energivori e molto costosi, che andrebbero paragonati a quelli industriali” evidenzia Enrico Nada, Presidente di Coldiretti Cuneo.
“Particolare attenzione va posta anche al packaging – aggiunge il direttore di Coldiretti Cuneo, Francesco Goffredo – perché queste bevande sfruttano gli stessi formati di bottiglie dei nostri vini, rischiando di confondere e trarre in inganno i consumatori”.
Coldiretti non è contraria tout court, ma è fondamentale e doveroso far chiarezza in termini di identità e di differenze, già a partire dalla definizione.
In Italia il processo di dealcolazione, totale e/o parziale, non potrà essere eseguito per le categorie di prodotti vitivinicoli a denominazione di origine protetta ed indicazione geografica protetta. La normativa precisa anche che è fatto divieto di aumentare il tenore zuccherino nel mosto di uve utilizzato per la produzione del vino oggetto di dealcolazione. È altresì vietata l’aggiunta di acqua esogena e/o di aromi esogeni al prodotto ottenuto a seguito dell’avvenuta dealcolazione, parziale o totale.