Egregio Direttore,
in questi giorni tiene banco la polemica legata ai giudizi discordanti riguardo al manifesto di Ventotene su cui il dibattito pubblico ha raggiunto l’acme, a mio parere, con le scene melodrammatiche e stucchevoli con piagnistei tragicomici in Parlamento. Partiamo da un presupposto: nessuno a destra ed a sinistra rimpiange l’Europa delle guerre in armi che si sono susseguite con scarsa soluzione di continuità nei secoli tra i regni più o meno nazionali del Continente, quella stagione per fortuna si è conclusa nel 1945 e tutti auspichiamo che non torni mai più.
In questi giorni, illustri opinionisti e personaggi politici ci ammoniscono con le loro disquisizioni sulla valenza del manifesto di Ventotene e sull’ignoranza (solito copione) di coloro che non riconoscono tale documento come verità assoluta. Io credo che vada fatta una riflessione squisitamente politica sulla questione rifacendosi anche alle parole del Presidente del Consiglio Meloni in riferimento ai Trattati di Roma.
Il manifesto parte esplicitamente e volutamente da un presupposto divisivo, cioè da un’idea di società che si basa sulla contrapposizione tra i buoni (la galassia socialista, giacobina ed affini) ed i cattivi, definiti genericamente reazionari.
Ampiamente condivisibili gli auspici di un’Europa unita che permetta di scongiurare conflitti futuri e che sia terreno fertile per la crescita sociale delle popolazioni, meno le teorie di limitazione della proprietà privata e del processo democratico (conosciamo bene la storia delle elite illuminate che si ergono a tutrici del popolo ma che poi scivolano sempre nell’autoreferenzialità o peggio nella tirannia e nello Stato etico).
Tuttavia, pur essendosi ritagliato il proprio legittimo posto nel pantheon delle teorie favorevoli ad un’Europa unita, il manifesto pare essere stato applicato nell’ambito dell’UE solo nei passaggi che prevedono una “sospensione” democratica per raggiungere gli obiettivi che ci si pone, prova ne è che ancora oggi il Parlamento europeo, espressione del voto degli europei, conti poco rispetto al funzionariato della colossale burocrazia dell’UE. Queste sono le classiche “pose” della cultura di sinistra non necessariamente marxista di chi ritiene di “sacrificarsi” nel guidare il popolo che non sa quale direzione prendere.
Mi permetto, invece, di fornire una opinione rispetto all’alternativa storica che è stata offerta agli europei (in questo caso l’embrione dei 6 Paesi fondatori) guardacaso realizzata con grande consenso popolare e quindi democratico nella forma più autentica.
All’indomani della fine della Seconda guerra mondiale i tre grandi Paesi europei, Germania, Italia e Francia, iniziarono a dialogare ed a gettare le basi di un’Europa veramente solidale, unita, pacificata e democratica. I personaggi protagonisti di questi passaggi storici sono stati Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman che hanno tenuto a battesimo il percorso di integrazione europea smentendo nella pratica la teoria del manifesto secondo cui fosse necessaria una rivoluzione per fare l’Europa, peraltro dando vita, purtroppo per la prima ed unica volta, ad una vera base programmatica che superava i tre “orticelli” nazionali ma che auspicava una vera politica comune su molti temi economici, sociali e politici, purtroppo poi la storia ha preso strade diverse ed ancora oggi vedendo le fughe in avanti della Francia nell’ambito militare e della Germania in quello finanziario si nota come quello spirito continui a non essere tramandato. I tre grandi Paesi europei dovrebbero essere insieme e dialogare con pari dignità e riconoscimento reciproco, altrochè asse franco-tedesco. Inoltre questi uomini, insieme naturalmente a molti altri, smentirono ulteriormente la teoria del manifesto secondo cui il processo democratico potesse essere derogato in alcuni momenti in quanto erano espressione del voto popolare e democratico.
Infine, i tre uomini politici avevano in comune la matrice cattolica (qui si dovrebbe aprire una riflessione sull’eccessivo allargamento dell’Unione a Paesi troppo diversi) alternativa alla sinistra e che già allora come oggi (con le dovute differenze dovute a quasi 80 anni di storia) faceva parte di un’area politica che include anche le tendenze liberali e conservatrici democratiche e che ritiene che l’Europa debba essere madre e non matrigna e sostiene che il treno della storia debba sempre fermarsi alla stazione della democrazia.
Nel manifesto tutta quest’area politica viene definita reazionaria, questa la grande e sostanziale differenza che ancora oggi ci fa essere critici nelle rispettive posizioni, l’area di centrodestra vuole un’Europa democratica in cui il volere del popolo sia prevalente rispetto alle imposizioni di burocrazie che nulla hanno a che vedere con il benessere economico e la libertà. Il cambio di passo della nuova Commissione e del nuovo Parlamento nati nel 2024 dove il centrodestra ha un peso maggiore sta a confermarlo, questo come Fratelli d’Italia, riteniamo essere il miglior antidoto all’antieuropeismo.