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Schegge di Luce | 30 marzo 2025, 07:09

Schegge di luce: pensieri sui Vangeli festivi di don Sebastiano Bergerone

Commento al Vangelo del 30 marzo 2025, IV domenica di Quaresima

Don Sebastiano Bergerone

Don Sebastiano Bergerone

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”» (Lc 15,1-3.11-32).

Oggi, 30 marzo 2025, la Chiesa giunge alla IV domenica di Quaresima (Anno C, colore liturgico viola o rosaceo).

A commentare il Vangelo della Santa Messa è don Sebastiano Bergerone, sacerdote salesiano di Bra.

Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio. Pensieri e parole per accendere le ragioni della speranza che è in noi.

Eccolo, il commento.

«Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione».

«Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. Così, vi dico, c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».

Sono le conclusioni delle due parabole che manifestano la gioia di Dio per i peccatori persi e ritrovati. Ma Gesù aggiunge la parabola del “figliuol prodigo” come è stata comunemente intitolata. Essa rappresenta il cuore del vangelo di Luca. Narra di un figlio perduto e dell’ansia con cui il Padre aspetta il ritorno e della gioia incontenibile quando finalmente può riabbracciarlo e ridargli la sua dignità.

Il figlio si era preparato un discorso di scusa che si concludeva «Non sono più degno di essere considerato figlio; considerami un tuo salariato». Il Padre è misericordioso, cioè vuole che le relazioni siano quelle giuste: egli è il padre e il figlio rimane tale anche se ha sbagliato.

Ma le due parabole precedenti avevano già espresso chiaramente questo atteggiamento del padre, pieno di tenerezza verso il peccatore. Evidentemente Gesù intendeva evidenziare il comportamento di Dio nei riguardi dei discepoli rappresentati dal figlio che vuole essere salariato e quello del figlio fedele, rimasto a casa a lavorare. I discepoli in maggioranza sono rappresentati dalle persone rimaste fedeli. Come si comporta Gesù con loro? Come sempre Gesù esclude ogni rapporto mercantile.

Era già capitato che un uomo gli rivolgesse la domanda decisiva della vita: non si tratta di una parabola, ma di un incontro vero. «Maestro buono cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?» e aggiungeva che lui i comandamenti li aveva osservati fin da quando era giovane. Possiamo osservare che non accampa diritti per aver osservato i comandamenti. Le sue buone opere non sono moneta per comprare la vita eterna, sa che essa sarà un dono di Dio, come un’eredità, un regalo del Padre. Gesù aveva rivolto ammirato lo sguardo su di lui come su un caro amico. Nei Vangeli sono raccontati tanti incontri, ma nessuno così coinvolgente. Persino Pietro, nell’ultimo dialogo, non si sentirà capace di accettare un’amicizia così profonda.

Nella parabola del Padre misericordioso Gesù aggiunge una parola che illumina chiaramente, attraverso l’atteggiamento del figlio fedele, l’unica relazione voluta anche da questo figlio che non sa darsi ragione della festa preparata proprio con quei prodotti che egli ha ottenuto con tanto sudore nel duro lavoro dei campi.

Non chiama padre il suo genitore: «Ecco io ti servo da tanti anni. Non ho mai trasgredito un tuo comando. E tu non mi hai mai dato un capretto per far festa coi miei amici».

Questo figlio nella parabola compie sostanzialmente gli stessi atti di quella persona che era andata ad incontrare il Maestro Buono, ma con atteggiamenti molto diversi. Vive col Padre da molti anni, ma dimostra di non sentirsi figlio, di essere servo; non vede nel padre una persona buona, accogliente, ma qualcuno che compie una palese ingiustizia. Quando il padre gli comandava qualcosa, era solito obbedire, ma era per imbonirsi il padre, si aspettava come contraccambio la riconoscenza e invece “neanche un capretto”. Anche prima che il fratello ritornasse era indignato e ora più che mai, viveva nella tristezza dell’invidia.

Di sicuro Gesù vuole invitarci a condividere la gioia dei fratelli che ritornano, a vedere la vita come un insieme di relazioni che servano a condividere anche quello che abbiamo ottenuto con lavoro e fatica, a essere misericordiosi come il Padre. La vita cristiana non deve essere vista come un insieme di doveri, ma come risposta al Padre in amicizia, nella fraternità, nella gioia di essere stimati e amati dal Padre.

silvia gullino

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