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Attualità | 01 aprile 2025, 19:45

“Serve coraggio per guardarsi davvero”: esce domani la raccolta di poesie 'La luce per l’inverno' di Daniele Vaira

Il libro del nostro collaboratore, vincitore del Premio Arcipelago Itaca, è un invito ad attraversare la vita senza sottrarsi

“Serve coraggio per guardarsi davvero”: esce domani la raccolta di poesie 'La luce per l’inverno' di Daniele Vaira

Poeta e giornalista professionista, Daniele  Vaira è nato a Torino da madre costaricana ed è cresciuto al Gallo. Ha lavorato per doversi giornali, tra cui la Gazzetta dello Sport, oggi è collaboratore di Targato CN e de La Voce di Alba. Da sempre si muove tra la parola scritta in tutte le sue forme e la necessità di darle un senso profondo.

Con La luce per l’inverno, in uscita domani per Arcipelago Itaca e già prenotabile in libreria o sulle principali piattaforme online, Vaira propone una raccolta poetica che è insieme viaggio personale e testimonianza del tempo. Un libro che attraversa le sfumature dell’esistenza, invitando chi legge a guardarsi dentro e attorno con attenzione nuova.

 Cosa significa per te “la luce per l’inverno”?
“La luce di cui parlo non è calore o conforto. È quella che serve per orientarsi quando tutto si ritira, quando resta solo l’essenziale. L’inverno è il tempo della verità, e in quel gelo ci si scopre davvero. È una luce che toglie, non che aggiunge. Ma è anche un invito a cogliere la realtà in tutte le sue sfumature”.

A chi è dedicato il libro?
“A mia madre, a chi trema e resta gentile. E a mia madre. È un modo per ricordare che si può essere fragili e forti allo stesso tempo. In un’epoca in cui vince chi alza la voce, la gentilezza è diventata un atto di coraggio”.

Come nasce di solito la tua scrittura?
“Non è mai prevedibile. A volte tutto parte da una musica, un ritmo che si muove nella testa e cerca parole. Altre volte sono i dettagli che attraversano la giornata, o un ricordo che riaffiora. Anche la cronaca e l'attualità hanno un ruolo: alcuni testi sono nati pensando alla guerra in Ucraina, a Gaza, o agli sbarchi nel Mediterraneo".

 Che spazio ha per te la realtà?
“Scrivere è anche un modo per guardare. Non si può parlare solo di sé. La realtà entra, inevitabilmente. E oggi, in questa velocità continua dove tutto sembra scivolarci addosso, la poesia può essere uno dei pochi strumenti che ci riportano all’ascolto. Senza ascolto, tutto diventa indifferenza, senza ascolto non riusciamo a uscire da noi verso l'altro”.

Nei tuoi testi tornano spesso oggetti, gesti minimi, dettagli. Perché?
“Perché parlano. Un bicchiere sul tavolo, una sedia vuota, una chiave dimenticata raccontano. La poesia per me è anche questo: raccogliere le cose che altrimenti passerebbero inosservate, e la cui presenza racconta un'assenza, una verità altra. Gli oggetti, come le parole, sono indizi e tracce verso l'ignoto".

La raccolta è costruita come un percorso cromatico. Qual è il significato di questo viaggio tra colori?
“Ogni sezione ha una temperatura. Il bianco è la sospensione, l’inizio. L’arancio è il colore della pazzia, della vertigine. Infine il nero, che contiene il dolore ma anche una forma di resistenza. Non è una discesa, ma una trasformazione. Dentro ogni ombra, c’è una luce che cerca di restare. C'è anche il rosa dedicato a mia madre, a lei devo molto. Ha rappresentato la mia prima lettrice, ora che non c'è più è giusto dirle grazie e accarezzarla con le parole”.

Cosa speri che resti al lettore?
“Non cerco di offrire risposte. Ma forse un invito: fermarsi, ascoltarsi, provare a riconoscere la propria ombra. Ognuno ha una sfumatura, ed è giusto attraversarla. Anche se fa male. Forse soprattutto se fa male. La luce è soprattutto quella della rinascita”

In un’epoca così rapida, la poesia può ancora dire qualcosa?
“Anzi, proprio per questo ne abbiamo bisogno. La poesia non dà risultati, non produce, non fa rumore. Non è performante, né funzionale, paradossalmente non ha senso. O, meglio, non ha la direzione che hanno le scelte pragmatiche, le leggi, i flussi. Ma ci costringe a fermarci. A restare su una parola, su un’immagine, su un'emozione che può anche bruciare.  In un tempo che consuma tutto, è  una forma di resistenza, di testimonianza”.

Redazione

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