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Schegge di Luce | 06 aprile 2025, 06:48

SCHEGGE DI LUCE / Pensieri sui Vangeli festivi di don Claudio M. Berardi

Commento al Vangelo del 6 aprile 2025, V domenica di Quaresima

Gesù e la donna adultera nel disegno di Pinuccia Sardo

Gesù e la donna adultera nel disegno di Pinuccia Sardo

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.

Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.

Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.

Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,1-11).

Oggi, 6 aprile 2025, la Chiesa giunge alla V domenica di Quaresima (Anno C, colore liturgico viola).

A commentare il Vangelo della Santa Messa è don Claudio Matteo Berardi, teologo e direttore Centro Studi Salus Hominis.

Amore, vita, valori, spiritualità sono racchiusi nella sua riflessione per “Schegge di luce, pensieri sui Vangeli festivi”, una rubrica che vuole essere una tenera carezza per tutte le anime in questa valle di esilio. Pensieri e parole che si uniscono al disegno dell’artista braidese Pinuccia Sardo per accendere le ragioni della speranza che è in noi.

Eccolo, il commento.

Gesù, come suo solito, si ritirava a pregare nell’orto degli ulivi e di buon mattino si recava nella sinagoga ad insegnare. Gli scribi e i farisei, stretti osservanti delle norme e tutti maschi, per mettere alla prova colui che considerano il loro avversario, gli portano una adultera sorpresa in flagranza di reato, che secondo la legge di Mosè doveva essere lapidata.

I termini “adulterio” e “adultera” erano usati esclusivamente per le donne sposate o promesse spose. Secondo il Deuteronomio (19,15) ci devono essere almeno due testimoni diretti del fatto, ad esclusione del marito o del promesso sposo. Secondo il classico interrogatorio giudiziario la donna è posta in piedi al centro, accerchiata dagli accusatori, ad indicare che non ha via di scampo.

Gesù e seduto per terra, reso parte di questo cerchio giudiziario. Ma c’è un problema, gli scribi e i farisei non possono condannarla a morte, perché i Romani hanno tolto la giurisdizione al Sinedrio.  Gli scribi puntano il dito su Gesù, chiamandolo provocatoriamente e ipocritamente “maestro” per chiedere un suo giudizio sull’adultera; se l’avesse condannata alla lapidazione, sarebbe andato contro la legge dei Romani, se l’avesse graziata sarebbe andato contro la legge di Mosè. Fecero così anche in altre occasioni per avere di che accusare Gesù e farlo condannare a morte, come terrorista o eretico.

La situazione è tesa. Alla domanda «Tu che ne dici?», Gesù sembra tergiversare, scrivendo con le dita sulla sabbia. Il verbo katagraphō utilizzato dall’evangelista può significare disegnare, scrivere, tracciare segni, ma anche mettere per iscritto un’accusa o fare una lista, probabilmente una lista di accuse o di colpevoli. In realtà non sappiamo cosa scrive Gesù per terra, tuttavia dalla reazione degli accusatori, sembra più che probabile che la scrittura fosse rivolta a loro, perché uno ad uno, a partire dagli anziani, se ne andarono via senza proferire parola.

Gesù non condanna la donna, ma la cattiva fede dei capi religiosi e la mancanza di misericordia. Tutti vanno via, rimangono solo loro due, ma lei non fugge e si rivolge a Gesù chiamandolo “Signore” e non “maestro”! Nel silenzio palpabile rimane la miseria e la misericordia, la peccatrice e l’Agnello che toglie i peccati del mondo.

È forte il contrasto tra i peccati scritti sulla terra e i nomi dei giusti scritti in cielo; i superbi accusatori, rei degli stessi peccati che non avevano la forza di giudicare e condannare e la donna sorpresa in adulterio che riceve il perdono dei peccati dal Misericordioso, con l’unica sentenza: l’invito a non peccare più. 

Il Figlio dell’uomo, dice l’evangelista Giovanni, non è venuto per condannare (Gv 3,17; 12,47), ma è venuto per cercare la pecora perduta come buon pastore (Lc 15,1). Per questo si è fatto carne: «Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Isaia 53,5).

Rimangano impresse in noi le parole dell’apostolo Pietro, perché nessuno osi interpretare questo passo del vangelo per giustificare le sue azioni o peggio ancora per ritenere l’adulterio un peccato di poco conto, credendo di poter entrare in comunione eucaristica e spirituale con Gesù, senza pentimento e senza il perdono procuratoci al caro prezzo della Croce e ricevuto nel sacramento della Confessione: «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime» (1Pt 2,24-25).

 

Silvia Gullino

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