Un settore sempre più normato a livello europeo, forse il più normato. Ma con quali conseguenze, visto che le regole non sono le stesse per tutti? La concorrenza sleale è la prima di queste coseguenze, quella di prodotti di importazione che costano meno perché produrli costa meno.
Agricoltori e allevatori non ci stanno più. Hanno iniziato a protestare in molti Paesi d'Europa, Italia inclusa, dove il settore dell'agricoltura è alla base di una filiera che vale oltre 600 miliardi di euro.
A chi è alla base di questa filiera restano le briciole. E ieri la manifestazione di Cuneo lo ha evidenziato nelle parole dei partecipanti. Non hanno colore politico né rappresentanza, delusi da quelle associazioni dalle quali non si sentono più tutelati.
Eppure, senza organi di mediazione, è difficile trattare. Lo sa bene Coldiretti, oggi a Bruxelles, davanti al Parlamento Europeo, con una folta delegazione di giovani imprenditori e dirigenti insieme al presidente regionale, Cristina Brizzolari, al delegato confederale, Bruno Rivarossa, e a tutti i direttori e presidenti delle federazioni provinciali.
Tra questi c'è anche Fabiano Porcu, direttore di Coldiretti Cuneo, che ha sottolineato come le proteste in atto partano "da problemi oggettivi di redditività dei prodotti".
"Il problema vero riguarda soprattutto gli allevatori della razza piemontese - spiega -. In Europa le proteste hanno ragioni diverse. In Germania, per esempio, la causa scatenante è stata il rialzo del prezzo del gasolio. Ma c'è un malessere di fondo, dei malumori che stanno portando alle proteste di piazza".
Questi manifestanti non vogliono accettare la mediazione di Coldiretti come di nessun'altra organizzazione di categoria. "Riteniamo che sia più utile andare a protestare nel centro decisionale. Per questo siamo a Bruxelles. Una protesta che punta ad arrivare ai tavoli di mediazione. Coldiretti condivide le battaglie in atto, ma serve andare a discutere dove e con chi decide", continua Porcu.
Il direttore evidenzia come sia necessaria la cancellazione dell’obbligo di lasciare incolto il 4% dei terreni destinati a seminativi imposto dalla Politica agricola comune (Pac) "per invertire la rotta rispetto alle follie dell’Ue poiché non ha senso impedire agli agricoltori di non coltivare quote dei loro terreni, quando poi si è costretti ad importare, come sosteniamo da anni".
"Subiamo le importazioni. Non possiamo opporci, ma questi prodotti devono rispettare le stesse regole imposte ai nostri agricoltori e allevatori. Così non è. L'Europa deve tutelare la propria produzione, scesa del 30% proprio a causa dei vincoli imposti dalle norme. Ma non è che si mangi il 30% in meno, semplicemente si importa di più. E cosa? Prodotti che non rispettano i vincoli a cui noi dobbiamo sottostare. Vogliamo la transizione ecologica? I trattori elettrici? Ma come si fa? Tutti questi processi vanno accompagnati, sennò l'agricoltura muore".