Cronaca - 24 settembre 2024, 06:58

Morì dopo un intervento a Verduno: consulente della Procura scagiona tre medici che operarono una 64enne di Diano d’Alba

A provocare la morte della donna sarebbe stata un’embolia polmonare. L’avvocato Ponzio: "Confido che la vicenda venga quanto prima archiviata".

L'ingresso dell'ospedale Ferrero di Verduno

L'ingresso dell'ospedale Ferrero di Verduno

"I consulenti di parte hanno concluso che i tre medici che operarono la donna residente a Diano d’Alba lo fecero correttamente e che il loro intervento fu improntato alla migliore scienza medica". 

Così l’avvocato Roberto Ponzio, difensore dei tre chirurghi dell’Asl Cn2 indagati dalla Procura della Repubblica di Asti per la morte di Annamaria Bosco, riferisce in merito all’esito della consulenza di parte effettuata su incarico della pubblico ministero Sara Paterno, titolare del caso, in merito alla morte della 64enne spirata nel marzo scorso all’ospedale "Michele e Pietro Ferrero" di Verduno, in conseguenza dell’operazione alla quale la donna era stata sottoposta presso lo stesso nosocomio il giorno 2 di quel mese, per la riduzione di una frattura al femore che la donna si era procurata cadendo in casa. 

Alla consulente, le cui conclusioni ricalcano quelle già prodotte dei consulenti della difesa, i dottori Lorenzo Varetto per due dei tre medici e Francesco Romanazzi per il terzo, la Pm aveva chiesto di provvedere, dopo aver compiuto l’esame autoptico sulla salma e opportuni prelievi, ad accertare le cause della morte, la condizione della paziente antecedentemente all’evento, se fattori esogeni verificatisi presso l’abitazione della donna potessero aver condizionato e come il suo stato di salute, se si sia stati in presenza di fattori intercorrenti e causali di eventuali condotte colpose da parte dei sanitari che sottoposero la donna a intervento. 

Nella relazione depositata nei giorni scorsi dalla consulente si conclude che la causa della morte di Annamaria Bosco è "ascrivibile a insufficienza cardio respiratoria acuta indotta da embolia polmonare moderata massiva in esiti di recente frattura del femore destro". "Trattasi di morte violenta perché determinata da severa complicanza di frattura traumatica del femore destro", si continua, prima di specificare che "non si ravvisano profili di responsabilità professionale medica da parte del personale sanitario dell’ospedale di Verduno che ebbe in cura la signora Bosco e che nel corso della degenza agì nel rispetto della buona pratica medica clinico assistenziale e delle norme contrattuali".  

"La consulente nominata dal pubblico ministero – commenta l’avvocato Roberto Ponzio – ha recepito le tesi proposte dai nostri consulenti di parte, dottori Romanazzi e Varetto. L’embolia polmonare, secondo la letteratura medica, è una complicanza rara in caso di frattura ossea. E’ un evento prevedibile, ma non prevenibile. Confido che la vicenda venga quanto prima archiviata". 

Per i tre medici la Procura aveva proceduto sull’ipotesi di indagine di omicidio colposo. Tra gli indagati era finito anche l'unico figlio della donna, nei confronti del quale la Procura intendeva accertare o escludere la presenza di elementi utili a circostanziare l’imputazione di omicidio preterintenzionale. A suffragare l’esigenza d’indagine – secondo quanto si apprese nel marzo scorso – una frase che sarebbe stata riferita dalla donna una volta arrivata in ospedale e che avrebbe portato gli inquirenti a voler escludere che possa essere stato lo stesso 37enne ad avere spinto la madre, forse al culmine di un litigio, causandone la caduta alla base della frattura. 

Ezio Massucco

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