Attualità - 09 gennaio 2025, 07:12

Dal Roero all'Iran: "Il mio unico ponte la poesia e il suo mistero" [L'INTERVISTA]

Francesco Occhetto, docente e ricercatore innamorato dei versi, ha curato per Mondadori l'antologia "Poeti iraniani. Dal 1921 a oggi". In primavera uscirà, invece, per Anima Mundi una raccolta dedicata alle voci femminili

Dal Roero all'Iran: "Il mio unico ponte la poesia e il suo mistero" [L'INTERVISTA]

C’è chi, attraverso le parole, costruisce ponti invisibili che collegano mondi lontani, culture, epoche.  C'è chi si innamora delle parole e di quello che dicono, ma soprattutto di quello che tacciono o della traccia che lasciano, spesso, attorno a una ferita, ma che in sé ha la luce dei germogli, della speranza e del cambiamento. 

Francesco Occhetto è una di queste persone. Nato ad Alba nel 1996,  poeta, ricercatore e traduttore ha trasformato la passione per la letteratura in un viaggio intellettuale e spirituale che abbraccia discipline e orizzonti diversi. Dalle radici a Montaldo Roero ai palcoscenici internazionali della poesia persiana contemporanea, il suo percorso è segnato dalla capacità di dare nuova vita a lingue, culture e sensibilità.

Con una laurea in Lettere presso l'Università del Piemonte Orientale e una magistrale in Scienze Storiche e Orientalistiche all'Alma Mater Studiorum di Bologna, dove ha esplorato la "mistica del quotidiano" di Adriana Zarri, Occhetto ha scelto di dedicarsi alla poesia come pratica di connessione e resistenza. Attualmente impegnato in un dottorato di ricerca all'Università Sophia, insegna materie letterarie e conduce laboratori di scrittura creativa, combinando il rigore accademico con la ricerca di ispirazione.

Nel 2024, insieme a Faezeh Mardani, ha curato l’antologia Poeti iraniani. Dal 1921 a oggi per Mondadori, un’opera che raccoglie le voci più rappresentative della poesia persiana contemporanea.

Ci parli del suo amore per la poesia.

"La scoperta della poesia ha rappresentato per me il passaggio decisivo, iniziatico direi, tra infanzia e giovinezza. È arrivata intorno ai quattordici anni; prima non ho mai avuto particolari sensibilità letterarie, salvo una certa facilità nell’inventare storie derivante forse dal mio contesto di appartenenza. Provengo da Montaldo Roero, la mia scuola sono stati i vecchi del paese e le loro testimonianze orali, che molto mi hanno nutrito e ancora oggi nutrono, nel profondo. Ma sino ad allora mai avevo avvertito la necessità di scrivere e leggere versi. Piuttosto sono stato un bambino molto legato alla natura: il mio mondo erano i boschi attorno a casa, sentivo di appartenere più al regno vegetale e animale che umano. La poesia è stata, direi, il linguaggio con cui nella maturità ho approfondito questa connessione primordiale con il regno delle Piccole Persone, per dirla con Anna Maria Ortese. Le creature che non parlano il nostro stesso linguaggio, a partire dagli animali per arrivare a elfi, alberi, fiori, tutto ciò che rende la terra 'un vero essere sensibile – un corpo meraviglioso, vivente'. Un alfabeto magico che mi ha permesso di scoprire l’enorme potere del Logos, della Parola infuocata che costruisce destino e, soprattutto, unisce terra a cielo, visibile a invisibile, ombra a luce."

L'incontro con la parola in versi è stata una svolta, ma anche una nuova forma di consapevolezza?

"La poesia, sin dalla sua scoperta e dalla radicale metamorfosi imposta alla mia vita, ha in me coinciso con un percorso di ricerca interiore. I primi poeti che ho amato intensamente sono stati i russi – in particolare Esenin, Pasternak, Cvetaeva, Achmatova. In loro ho percepito all’istante un’affine concezione dell’esperienza poetica quale possibilità verbale di imbastire un dialogo con il divino e l’invisibile, in un’ottica di purificazione del dialetto comune aperta però a tutte le sfumature della terrestrità. Porto nel cuore la frase di Rilke che dice: 'Noi siamo le api dell’invisibile. Raccogliamo incessantemente il miele del visibile per accumularlo nel grande alveare d’oro dell’Invisibile'." 

E qui si inizia a dispiegare il suo fascino per la cultura persiana.

"Per me dimensione mistica e poetica coincidono, al di là di ogni possibile identificazione fideistica e religiosa dell’arte. Simile prospettiva mi ha portato a prediligere autori implicati nella ricerca spirituale; tra questi, la sintonia più profonda l’ho rintracciata in un autore medioevale persiano, Jalal al-Din Rumi, fondatore della confraternita sufi dei dervisci rotanti. L’ho scoperto grazie alla musica di Battiato: una folgorazione. Le sue Poesie mistiche, lette per la prima volta nella traduzione italiana di Alessandro Bausani, sono state il mio pane quotidiano per tutta l’adolescenza, un breviario di felicità. È da questo intenso legame con la poesia e filosofia sufi che è sorto l’amore per la letteratura e cultura persiana".

Come concilia il suo lavoro di traduttore e scrittore con l'insegnamento e il dottorato di ricerca?

"'La poesia, ha scritto García Lorca, non cerca seguaci, cerca amanti'. So che potrò risultare enfatico ma essa è ciò che più mi interessa, viene prima di tutto. Nel mio caso è dunque l’amore per la poesia che concilia l’attività di scrittura e traduzione con quella accademica. Poi certamente i rispettivi generi richiedono specificità e competenze diverse ma credo e spero che alla base del mio percorso di scrittore e docente ci sia sempre la traccia alata dell’ispirazione, l’esigenza cioè di essere fedele in primis al richiamo e alle istanze della Musa o, come la definiva Robert Graves e preferisco, la Dea Bianca: al suo luminoso orientamento, che spesso indica direzioni opposte tanto ai desideri personali quanto alle opportunità e convenienze sociali".

Quali criteri ha adottato nella selezione dei poeti inclusi nell'antologia?

"L’antologia Poeti iraniani vuole essere una prima esaustiva rassegna in lingua italiana della grande poesia persiana dal Novecento a oggi: gli unici due criteri adottati per la selezione degli autori sono stati la rilevanza storico-letteraria e qualità estetica dei relativi testi. Si parte da Nimā Yushij, padre della Poesia nuova nonché primo autore che nel 1921 aprì al verso libero e ai temi del modernismo simbolista, per arrivare ad Ahmad Shāmlu, poeta-profeta la cui opera di magmatico impegno civile galoppa per tutto il secolo breve innalzando monumentali mausolei di carta, passando per Mehdi Akhavān Sāles, nostalgico aedo delle attuali rovine persuaso del potere salvifico delle fonti preislamiche, sino alle voci più conosciute nel mondo occidentale come Forugh Farrokhzād, la 'poetessa del peccato' che negli anni Sessanta osò per prima pubblicare versi di spregiudicata femminilità in opposizione a una cultura maschilista e retrograda, o Sohrāb Sepehri, vero mistico sufi interessato alla pittura e alle vie esoteriche orientali. Da questa prima generazione di poeti – non a torto definiti "colonne della Poesia nuova" – si giunge poi a una seconda ondata".

In cosa si caratterizzò?

"Istanze neoavanguardistiche e antiletterarie. Abbiamo qui Bijan Jalāli, autore di densi frammenti lirici dal registro colloquiale ma profondo valore sapienziale, Yadollāh Royāi, maestro della Nouvelle vague letteraria iraniana e di uno sperimentalismo linguistico mai privo di pathos e autenticità, Mohammad Rezā Shafiei Kadkani, prodigioso conoscitore dell’eredità lirica persiana i cui lacerti d’oro interseca a versi carichi di disincanto e dissenso per l’oggi, fino a Seyyed ‘Ali Sālehi, decano della Poesia parlata che nei suoi testi inaugura un connubio tra linguaggio popolare e mistico. L’antologia si chiude con le firme ad oggi più amate e lette: Ziyā’ Movahhed, poeta-filosofo insuperabile nell’intrecciare riflessioni metafisiche a lampi e intuizioni di gusto impressionista, Abbās Kiarostāmi, artista abilissimo nel tratteggiare il proprio visionario orizzonte interiore tramite fulminei fotogrammi-haiku, e infine Garous Abdolmalekiān, poeta poco più che quarantenne ma già affermato e celebrato, firma di diverse opere dove un ispirato afflato lirico si interseca a una dolente denuncia civile. Insomma, una caleidoscopica rassegna volta a far scoprire ai lettori italiani lo scrigno dei tesori poetici dell’Iran contemporaneo e altresì il particolare sentimento che unisce gli iraniani alla poesia, a tutti i livelli"-

Quali sfide ha incontrato nella traduzione delle poesie persiane in italiano, considerando le differenze culturali e linguistiche?

"Il farsi è una lingua estremamente musicale, pertanto l’attenzione alla euritmia testuale si fa questione prioritaria. Quando traduco una poesia dal persiano all’italiano cerco di ricrearne il suono originale, un simile tentativo appare tuttavia sempre difettivo poiché i poeti sono cesellatori di armonie segrete e, si sa, soltanto essi possiedono il giusto accordo dell’«incanto fonico». Già lo sosteneva Dante nel Convivio: 'Nulla cosa per legame musaico armonizzato si può della sua loquela in altra transmutare senza rompere tutta sua dolcezza'. L’unico modo per tradurli fedelmente è perciò divenirne alchemici alleati, mettersi a servizio del loro genio cercando di traghettarne i prodigi linguistici e filosofici a nuova luce, con paziente cura".

Quali temi o autori desidera esplorare nelle sue future traduzioni o scritti?

"Sto attualmente lavorando a un’antologia che uscirà in primavera presso l’editore AnimaMundi, dedicata questa volta alle voci femminili della poesia persiana contemporanea. Si intitola Dovrò prepararmi a fiorire e presenta le sei autrici più rappresentative del processo di emancipazione politico-sociale e dunque letterario delle donne iraniane negli ultimi cinquant’anni. Un lavoro condiviso con la prof.ssa Faezeh Mardani, a cui devo la scoperta della letteratura persiana moderna, di cui mai le sarò abbastanza grato. In parallelo, sto lavorando a un progetto editoriale riguardante Jalal al-Din Rumi: sono anni che ne studio e traduco autonomamente le poesie. I tempi mi paiono maturi per rendere pubblico questo approfondimento tanto della sua letteratura quanto della sua spiritualità".

In che modo la poesia iraniana riflette le trasformazioni socio-politiche dell’ultimo secolo?

"L’Iran è un Paese dove la poesia rappresenta ancor oggi il linguaggio identitario di un popolo desideroso di raccontarsi in ogni aspetto, esistenziale e filosofico. Per quanto riguarda l’impegno e dissenso civile, ne è da sempre il principale canale, essendo la figura del poeta ancora socialmente centrale quale testimone della storia di un intero popolo cui è stata privata la libertà ma non il fermento culturale, il senso profondo di appartenenza a una millenaria tradizione di arte, musica, cultura e, appunto, scrittura poetica. Non è un caso che quand’anche si tinga di furia e ribellione – e qui emerge una delle sue peculiarità più interessanti – la poesia persiana suole comunque vestirsi di una singolare, epica solennità, osservando una radicata fiducia e riverenza verso la parola, ritenuta sacra"-

Lei fa anche parte della giuria del Premio Roddi, come vede lo stato di salute della poesia?

"La poesia è viva, guai se non lo fosse, significherebbe l’estinzione dell’umanità come specie in evoluzione non solo fisiologica, scientifica e culturale ma soprattutto spirituale. Molti considerano il presente un tempo barbaro ove mancano esperienze artistiche di alta qualità. Non credo sia così, esistono poeti notevoli. Volendo rimanere in Italia, mi vengono in mente, tra gli altri, Antonella Anedda, Roberto Carifi, Nanni Cagnone, Maura del Serra, Ida Vallerugo. Voci che senz’altro resteranno nel nostro canone poetico. E poi penso all’Iran, alla Palestina, alla Russia: Paesi dove, malgrado il clima sociale repressivo e violento, continuano a fiorire grandi poeti. La principale affezione che mina il panorama poetico attuale è, a mio giudizio, la pressoché totale mancanza di critica militante; latitano critici capaci di imporsi con analisi affidabili e riconoscibili. Ogni giorno soltanto in Italia si pubblica una quantità smisurata di titoli esclusivamente pensati per intrattenere e imbolsire il pensiero fluido delle masse. Il ruolo della critica militante sarebbe invece quello di orientare, nella fitta selva editoriale, lo spaesato lettore d’oggi a sentieri di maggiore autenticità, educandolo alla complessità del mezzo letterario."

Che senso ha oggi scrivere poesia?

"A mio parere, oggi come ieri e domani la poesia non ha altro senso che illuminare di ulteriore senso l’esistenza umana, le sue aree di profondità, di aureolato mistero. Nello specifico attuale, ha poi il grande compito di stimolare un uso della parola il più possibile parsimonioso, apprendistato che definirei ascetico. Viviamo un’epoca dominata dal consumismo, da una tendenza bulimica anche a livello verbale. Le parole sono svilite da un loro esercizio sempre più teleologico e performativo basato su persuasione ed efficacia nell’immediato. La poesia è all’opposto la capacità di sostare in spazi dell’Essere in cui il linguaggio acquisisce un rovente potere trasformativo grazie a una costante esposizione al silenzio e alla sua eloquente matrice filosofica. Ecco, direi che la poesia è l’esperienza eremitica della parola, il giardino monastico dove i suoni e le allegorie sperimentano una vita arcana e perciò nuovissima, generando inattesi semi di contemplazione"-

Daniele Vaira

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